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Se nel Regno Unito si scatena la guerra ai britannici

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Dario Mazzocchi
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Da tradizione, tra la fine di agosto e l’inizio di settembre gli studenti britannici tornano in aula. Ad accoglierli una classe di presidi, insegnanti e tutor che in estate si dedicano ai corsi di formazione per affrontare le nuove sfide didattiche, prendere confidenza con gli avanzati strumenti tecnologici e gestire il rapporto scuola-famiglia. E per contrastare qualsiasi forma di razzismo, specie negli istituti che sorgono nei quartieri e nelle zone più multietniche, a patto che qualcuno ne facciale spese: l’obiettivo è infatti di «porre fine alla centralità della cultura bianca», come si legge in alcune guide distribuite durante gli aggiornamenti.


La parola chiave è «whiteness»: indica i comportamenti sociali considerati normali dalle persone bianche. Va combattuta e per farlo occorre incoraggiare una formazione in ottica «antirazzista». In questo modo si contribuirebbe a conservare «un corpo docenti diversificato» e a ridurre il divario nei risultati finali tra alunni bianchi e non. Tutto questo è riportato nei testi approvati da alcune università inglesi e scozzesi che promuovono i corsi, tra cui quelle di Newcastle, Edimburgo e Glasgow, con l’avvallo del sindacato di categoria Nation Education Union.


RISCRIVERE LA STORIA
Spulciando tra le righe del documento elaborato dal Consiglio scozzese dei presidi, si può leggere che i cambiamenti nel modo con cui gli insegnanti vengono formati, assecondando le direttive anti-razzista, «sconvolgeranno la centralità della whiteness e consentiranno modi diversi di vedere, pensare e agire». Un nuovo mondo che punta a riscrivere, se non a cancellare quello precedente e che riporta a galla un leitmotiv inaugurato nel 2020, sull’onda delle proteste del movimento “Black lives matter”, con la revisione del periodo colonialista britannico, per rimarcare «l’impatto negativo dell’essere un uomo bianco». Quattro anni fa oggetto della lotta erano le statue di mecenati e fondatori di college e centri di studio, accusati di aver tratto profitto dal commercio di schiavi: dall’esploratore Francis Drake al Primo ministro liberale William Gladstone. Emblematica resta la profanazione della statua di Winston Churchill che si erge di fronte al Parlamento, con la scritta «è un razzista». Ora l’attenzione si concentra sui programmi che gli alunni dovranno studiare in classe – e dalle quali emergono dati molto interessanti.


Le politiche educative degli ultimi decenni per sostenere l’integrazione e il proseguimento degli studi nelle comunità minoritarie hanno dato i loro frutti, perdendo però di vista un importante gruppo sociale: proprio quello degli studenti bianchi provenienti da famiglie meno abbienti. Confrontando i risultati degli esami GSCE (General Certificate of Secondary Education), che consentono di accedere alle università più prestigiose e quotate, salta all’occhio come i figli della working class bianca siano rimasti tagliati fuori.

PRIVILEGI RIBALTATI
Nel 2007, il 23% degli studenti neri nelle scuole statali entrava in un ateneo, con valore quasi uguale tra gli studenti bianchi di bassa estrazione sociale (22%). Nel 2018 il divario si è ampliato: 41% tra gli studenti neri, 30% tra i bianchi. I lockdown del 2020 e 2021 hanno aggravato la situazione, con una dispersione scolastica più accentuata tra le ragazze e i ragazzi bianchi, verso i quali la sensibilità e la vigilanza sono più carenti. Gli occhi sono rivolti altrove, il bianco povero si arrangi: sempre bianco è. Nella frenesia di abbattere la cultura bianca accade poi che i bibliotecari ricevano precise istruzioni di evitare incontri e riunioni in edifici giudicati razzisti perché intitolati a personaggi scomodi. È accaduto in una scuola elementare nel Galles del Nord intitolata al poeta Goronwy Owen, morto nel 1769 e colpevole di aver avuto a servizio degli schiavi. La decisione è giunta in seguito alla pubblicazione di un manuale del Chartered Institute of Library and Information Professionals che rientra nel percorso di formazione sulla «decolonizzazione» e sul «paradigma dominante della whiteness». Costo dell’operazione: 130.000 sterline, circa 154.000 euro. Quanti libri utili si sarebbero potuti comprare?

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