Certo non ci scandalizziamo noialtri, che siamo per la libertà nelle notizie e nelle opinioni, compresa quella di cambiare idea, di leggere sull’Economist che aveva ragione J.D. Vance quando constatava la scarsa dimestichezza dell’Europa con la libertà di parola.
Succedeva a metà febbraio, ma al settimanale britannico, tanto per bene nell’aspetto e nei modi e nient’affatto disancorato dalla realtà, si perdona tutto. Così, ieri mattina, nel vedere sulla copertina gialla un profilo con una cerniera semichiusa/semiaperta a mo’ di bocca e il titolo «Europe’s free speech problem», l’Europa ha un problema con la libertà di espressione, abbiam fatto spallucce. Citiamo: «Tutti i paesi europei garantiscono il diritto alla libertà di espressione. Tuttavia, la maggior parte cerca anche di limitare i danni che teme possa causare».
L’Economist continua ovviamente a prendersela con Vance, che è un «ipocrita» perché l’amministrazione Trump espelle gli studenti, si scaglia contro i giornali, minaccia le università (tutti segnali di ipercorrettismo woke: a furia di stigmatizzare il buon senso si rischia di riuscirci). Se la prende con l’Ungheria di Orban, con la Germania per una legge contro gli insulti ai politici, con la Gran Bretagna, dove è reato essere “gravemente offensivi” online. «Reprimere i discorsi d’odio con la minaccia di un’azione penale», si legge, «sembra alimentare la divisione». Cosa che più fa inorridire i colleghi d’Oltremanica, è che è stata la destra populista, intollerante e oscurantista, ad aver paventato il rischio dell’inaridimento del dibattito pubblico per il timore di esprimere opinioni. «È una follia.
Leggi che possono essere usate per imbavagliare una parte possono essere usate anche per imbavagliare l’altra (...) e credere nella libertà di parola significa difendere anche quella che non piace».
Giornalisti da tartufo. Andiamo alla conclusione: «Gli europei sono liberi di dire ciò che vogliono del signor Vance. Ma non dovrebbero ignorare il suo avvertimento. Quando gli Stati hanno troppi poteri sulla libertà di parola, prima o poi li useranno».
Non che serva fare la Cassandra: il potere costituito, sia esso lo Stato o la magistratura, sta usando i suoi poteri oggi. Diagnosta feroce, l’Economist si è dimenticato la questione cruciale del discorso del vicepresidente e cioè che «per salvare la democrazia dovete abbracciare quello che la gente vi dice, anche se non siete d’accordo». Perché prima della libertà di parola, arriva la libertà di pensiero e, di conseguenza, di voto. All’epoca, il portavoce del governo federale tedesco, Steffen Hebestreit, dichiarò sgomento: «È buona norma che i cittadini di un Paese decidano per chi votare e quali siano i loro principi e non accettino consigli da altri in proposito». Quattro mesi dopo Alternative für Deutschland, il partito con la maggioranza relativa al Bundestag e che, stando ai sondaggi, verrebbe votato da un tedesco su quattro, è stato ufficialmente classificato come «un’organizzazione di estrema destra non compatibile con l’ordine democratico libero».
In Romania domenica torneranno al voto: a Calin Georgescu è stato impedito di accedere al secondo turno elettorale nonostante la Corte costituzionale rumena avesse confermato l’assenza di irregolarità. L’Ufficio centrale elettorale lo ha escluso dal secondo turno per fumose ingerenze russe. Seguirono reazioni soddisfatte di diverse cancellerie europee. In Francia è ancora peggio: non solo Macron è un leader che avrebbe dovuto dimettersi nove mesi fa, quando i francesi gli hanno sputato in faccia (elettoralmente parlando), ma agli elettori sarà addirittura impedito di votare Marine Le Pen, alla quale hanno immediatamente comminato la sanzione di ineleggibilità. In Austria, dopo mesi di trattative, è stato fatto un governo di coalizione che ha escluso il partitopiù votato, la Fpö di Kickl. Non t’illudere, J.D., che qui siamo veterocontinentali. Un continente vecchio, curabile ma non guaribile.