Iran, gli arabi si godono la fine del nemico sciita

Sauditi ed emiratini rimangono fedeli agli Usa e il Medio Oriente spera di liberarsi di Hezbollah
di Carlo Nicolatomartedì 24 giugno 2025
Iran, gli arabi si godono la fine del nemico sciita
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Grande preoccupazione» è il più gettonato dei commenti tra i Paesi arabi costretti dalle circostanze a dire qualcosa sull’attacco americano in Iran e l’escalation che ne potrebbe seguire. È la stessa “preoccupazione” condita da qualche più o meno dura condanna che in questo anno e mezzo ha mosso le coscienze diplomatiche degli stessi Paesi nei confronti degli attacchi israeliani a Gaza ma che poi non è mai sfociata in alcuna azione concreta se non in vani e spesso svogliati tentativi diplomatici.

D’altronde se Israele, come ha detto il cancelliere tedesco Merz, sta facendo il lavoro sporco per noi occidentali a maggior ragione lo sta facendo, ora insieme all’alleato americano, anche per gli Stati arabi sunniti, quelli che in sostanza fanno capo all’inziale Lega Araba, che come tutti sanno non hanno mai avuto alcuna simpatia (è un eufemismo) per cugini sciiti iraniani. «Il Regno sottolinea la necessità di compiere tutti gli sforzi possibili per esercitare moderazione, allentare le tensioni ed evitare un'ulteriore escalation», ha dichiarato ad esempio il ministero degli Esteri saudita che ha invitato la comunità internazionale a «intensificare i propri sforzi in questo periodo altamente delicato per raggiungere una soluzione politica che ponga fine alla crisi e apra un nuovo capitolo per il raggiungimento della sicurezza e della stabilità nella regione». Tra i migliori alleati dell’America di Donald Trump, il regno saudita non ha certo interesse che si rinnovino tensioni regionali come quelle che hanno caratterizzato lo scorso ventennio, ma di sicuro a Riad non piangeranno se per caso dovesse cadere il regime degli ayatollah, contro il quale combatte dal secolo scorso attraverso proxy e non, e con quello sparisca in aggiunta ogni velleità atomica.

«L’attuale pericolosa tensione nella regione potrebbe portare a conseguenze catastrofiche sia a livello regionale che internazionale», ha invece affermato il ministero degli Esteri del Qatar, che è l’unico Paese dell’area impegnato nel tentativo di mediare un cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi per prigionieri tra Israele e Hamas. Tra i Paesi del golfo, il Qatar è l’unico, se si esclude lo Yemen degli Houthi e il pacifico Oman, ad avere un rapporto non conflittuale con l’Iran, però è anche la sede della più grande base aerea statunitense in Medio Oriente.

In rapporti ancora più stretti con Trump sono gli Emirati Arabi Uniti che hanno appena firmato un accordo commerciale con l’Amministrazione americana per 200 miliardi di dollari. Con un comunicato di circostanza il ministero degli Esteri di tale Paese ha sottolineato «l’importanza di dare priorità alla diplomazia e al dialogo per risolvere le controversie, attraverso approcci globali che promuovano stabilità, prosperità e giustizia».

Stessi toni inconsistenti dell’Egitto, che è uno dei principali beneficiari degli aiuti militari degli Stati Uniti, e che si è limitato a sottolineare genericamente di rifiutare «qualsiasi violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale» ha ribadito «la necessità di rispettare la sovranità dello Stato». Stessi toni del governo iracheno, che spera in realtà di togliersi di dosso l’influenza ingombrante di Teheran, di quello libanese che a sua volta non vede l’ora di potersi togliere definitivamente dai piedi Hezbollah, e della Giordania, la cui preoccupazione principale è solo quella di trovarsi nel bel mezzo del fuoco incrociato tra Israele e l’Iran.

Tace la Siria dei ribelli, acerrimi nemici dell’Iran che in questi anni ha sostenuto il regime di Assad da loro recentemente spodestato. Insomma tutti gli Stati citati, chi più chi meno, potrebbero anche nutrire qualche preoccupazione per una guerra che dovesse allungarsi più del dovuto e dovesse toccare i loro interessi, tipo quelli relativi allo stretto di Hormuz, ma niente di comparabile ai vantaggi strategici, politici, economici e religiosi che otterrebbero dalla caduta degli ayatollah, insieme a quella già in parte avvenuta dei loro proxy.

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