Ucraina, la strategia dei salotti progressisti: insultare Trump in ogni caso

Se volete il vostro posticino nei salotti tv, nelle redazioni-chic, nei luoghi che contano, l’essenziale è sparare a palle incatenate contro la "Bestia Arancione"
di Daniele Capezzonemercoledì 16 luglio 2025
Ucraina, la strategia dei salotti progressisti: insultare Trump in ogni caso
3' di lettura

I lettori di Libero sanno bene quale sia ormai l’indispensabile “lasciapassare” per essere ammessi (e minimamente rispettati) in società. “Indu bio pro reo”, secondo l’antico brocardo latino? No, al contrario: “Nel dubbio contro Trump”. Se volete il vostro posticino nei salotti tv, nelle redazioni chic, nei luoghi che contano, l’essenziale è sparare a palle incatenate contro l’uomo nero, anzi contro la Bestia Arancione. Bisogna aggredirlo sempre e comunque, qualunque cosa faccia. “A prescindere”, avrebbe detto Totò. Prendi la complicatissima vicenda della guerra tra Russia e Ucraina. Su questo - da sempre - Trump ha razzolato piuttosto bene, pur avendo a volte predicato male. Qua e là, quanto alle parole, abbiamo infatti dovuto registrare alcune sue scivolate (che onestamente si sarebbe potuto risparmiare) a favore della retorica putinista.

Ma se - invece - dalle chiacchiere passiamo ai fatti, è molto difficile rimproverargli qualcosa. Già prima che la guerra iniziasse, durante il primo mandato trumpiano, fu lui - con preveggenza - a rifornire Kiev dei missili javelin, che poi si sarebbero rivelati decisivi per la difesa ucraina. Dopo di che, come si sa, lo scoppio del conflitto e il triennio di guerra sono tutte cose avvenute durante la sua assenza dalla Casa Bianca, quando c’erano “quelli bravi”, tipo Joe Biden (presentato dai nostri espertoni come “lucidissimo” pure quando vagava sperduto nei prati o stringeva mani di interlocutori inesistenti), o tipo la comitiva europea dei Macron e all’epoca - degli Scholz. Quei signori, per tre lunghi anni, non hanno saputo fare né la pace né la guerra: eppure erano presentati ovunque come statisti autorevoli. Lui, invece (nonostante che, durante il primo mandato trumpiano, Putin non avesse mosso un solo carro armato), è costantemente oggetto di risatine e crisi isteriche da parte dei soliti noti.

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Ricapitoliamo. Non va bene se Trump pende verso Mosca, ma non va bene nemmeno se - come ora appare evidente - si schiera abbastanza nettamente a favore di Kiev. Non va bene se tratta in modo ruvido Zelensky, ma non va bene neppure se invia una rispostaccia a Putin come ha appena fatto. Non va bene se il Pentagono minaccia l’Ucraina di ridurre le forniture di armi, ma non va bene nemmeno se Trump invece garantisce a Kiev nuove poderose forniture militari. Ancora: non va bene se esige un contributo dei paesi europei alle spese Nato, ma poi non va bene nemmeno se affida proprio all’Alleanza il coordinamento delle operazioni pro Kiev. Non va bene se omette di prospettare dazi e sanzioni ai danni di Mosca, ma non va bene neanche quando invece promette quelle misure. E infine: non va bene se la propaganda putinista parla male di lui, ma non va bene neppure - come accade in queste ultime trentasei ore - se i media russi aggrediscono la Casa Bianca. Morale della favola: non va mai bene niente. L’essenziale è descrivere Trump come un pagliaccio, un soggetto infido, un alleato riluttante, un pericoloso e volgare bullo. Qualunque cosa faccia. E allora - ecco il punto - Trump, ben al di là dei suoi meriti e dei suoi demeriti, è diventato l’elemento rivelatore dei pregiudizi di cui sono imbevute le classi dirigenti progressiste europee. Ed è proprio questa impalcatura mentale, questa prigione del pensiero, che non le rende più credibili: né per il passato, né per il presente, né tantomeno per il futuro.

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