The voice of Hind Rajab, il film sulla storia della bimba palestinese di cinque anni uccisa dall’Idf, commuove Venezia e commuove anche noi. Non c’è metafora più potente per condannare il peccato di violenza commesso dagli adulti di quella dei bambini. La voce di quella bambina è voce universale, delle vittime innocenti di tutte le guerre. Le sue grida di aiuto sono le grida dell’infanzia che soffre e che ha sofferto sotto le bombe. C’è un episodio lontano nel tempo e poco conosciuto che, per il suo carico di mistero, ha incuriosito molti storici e che ha i bambini come protagonisti. Parliamo della cosiddetta Crociata dei fanciulli di cui riferirono alcuni cronisti medievali: una fiumana di “pueri”, nel 1212, seguiva due pastori, il francese Stefano e il tedesco Nicola, con l’intenzione di recarsi in Terra Santa per recuperare la “vera Croce”. Alcuni morirono annegati, altri finirono schiavi. Il fatto suscitò un’impressione enorme tra lacrime, preghiere e processioni riparatorie. Il mondo adulto si batté il petto. Dio puniva i cristiani per le loro colpe sacrificando vite innocenti.
Anche oggi si piange per Gaza, magari dimenticando che a muovere l’ira funesta di Netanyahu è stata una vicenda ben precisa che ha coinvolto altri bambini, senza colpe anche loro, terrorizzati anche loro, e anche loro solo “colpevoli” di essere ebrei, come Hind Rajab era “colpevole” di essere palestinese. Il cinema è arte se si eleva al di sopra delle polemiche politiche e geopolitiche, se non si fa portavoce di una parte ma diviene “simbolo”. E allora, in questa dimensione superiore, Hind Rajab non è diversa dai bimbi israeliani dello scuolabus di Avivim, e la sua tragedia non differisce da quella dei circa 38mila bambini periti per le bombe atomiche piovute dai cieli giapponesi o da quella dei bambini massacrati a Bucha dai russi. In un bel libro dello storico Cesare De Simone sui bombardamenti alleati che colpirono Roma nel 1943 c’è una toccante testimonianza di un sopravvissuto che racconta che si trovava al cimitero Verano con la madre e il fratellino. Il bambino fu colpito dalla statua di un angelo che era volata in aria, a causa dell’esplosione di uno degli ordigni, schiantandosi poi sulla piccola vittima.
Flotilla, ecco i diari di bordo: i proPal giocano a fare la guerra
Dev’essere una sorta di viaggio della sopravvivenza quello della Global Sumud Flotilla. Una gara a eliminazione in...È un racconto toccante: l’angelo della morte che rapisce una giovanissima vita in modo brutale, inaspettato, inaccettabile. Le storie dei bambini vittime di guerra vanno lette così, come monito agli adulti: basta, smettetela. Non sono bandierine da agitare, né monumenti funebri di ideologie di odio. Gaza sta invece diventando un brand, qualcosa che oltre a fare notizia è divenuto lo spartiacque tra chi sarebbe umano e chi non lo è più. La tentazione di starsene fuori dal coro della propaganda è forte oltre che legittima. Infatti la moda pro-Pal sta producendo un effetto saturazione che non porta consensi al carrozzone politico che agita le bandierine palestinesi. I recenti sondaggi lo dimostrano. Chi ha buon senso non partecipa all’impazzimento generale degli opposti fanatismi per cui ogni palestinese è un potenziale terrorista o ogni ebreo un complice di un genocidio in atto. Le guerre si fermano con la realpolitik. Per le vittime innocenti ci dev’essere la pietas che non contempla slogan. La vera umanità impone questo.