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La Cina si riarma e sfida gli Stati Uniti

Pechino spende 245 miliardi di dollari per la Difesa ed espande le basi missilistiche in vista dell’attacco a Taiwan
di Mirko Moltenisabato 8 novembre 2025
La Cina si riarma e sfida gli Stati Uniti

4' di lettura

Dopo che il presidente americano Donald Trump ha preannunciato la ripresa di test atomici da parte degli Stati Uniti, ieri i cinesi hanno preteso che gli americani riducano le loro forze strategiche proprio mentre Pechino le aumenta. E senza chiedere pari retromarcia all’apparato nucleare russo, perfino più ampio di quello Usa, ma tollerato in quanto l’Orso di Mosca è, al momento, il maggior alleato del Dragone. L’ipocrisia cinese spicca ancor più considerando che foto satellitari analizzate dalla Cnn confermano l’incremento della produzione di missili, nel quadro di un riarmo che contempla anche l’entrata in servizio della terza portaerei di Pechino.

Ieri una nota del ministero degli Esteri cinese sentenziava: «Gli Stati Uniti, in quanto Paese col più grande arsenale nucleare, devono adempiere ai loro obblighi speciali e prioritari in materia di disarmo nucleare e ridurre il loro arsenale per creare le condizioni per raggiungere un disarmo nucleare completo e globale. L’arsenale nucleare cinese non è paragonabile a quelli di Stati Uniti e Russia. Chiedere alla Cina di partecipare a negoziati sul controllo delle armi nucleari in questa fase è ingiusto, irragionevole e irrealizzabile». Per Pechino le uniche atomiche “cattive” che costringono le altre potenze nucleari a mantenere arsenali, sarebbero quelle americane. Tolte quelle, gli altri ne seguirebbero l’esempio e al mondo non ci sarebbero più armi nucleari. Pura propaganda per far dimenticare il vertiginoso aumento degli arsenali cinesi. E Pechino finge d'ignorare che è Mosca ad avere un numero di testate nucleari superiore a quelle di Washington. La Russia avrebbe 5.580 testate, di cui 4.300 pronte, contro le 5.225, di cui 3.700 pronte, degli Stati Uniti.

La Cina, che ancora nel 2018 aveva solo 280 testate, stando a Pentagono, Federation of American Scientists e Bulletin of Atomic Scientists, ha raggiunto una crescita di 100 ordigni all’anno. Nel 2023 i cinesi avevano 410 testate, già salite a 500 nel 2024 e 600 nel 2025. Il dipartimento della Difesa americano stima che la Cina schiererà 1.000 testate nucleari entro il 2030 e 1500 nel 2035. Già in giugno un esperto dell’istituto SIPRI di Stoccolma, Hans Kristensen, aveva così descritto l’espansione della produzione di armi nucleari del colosso asiatico: «La Cina procede con l'aggiornamento industriale, dalle fabbriche agli impianti di riprocessamento e ai centri di simulazione usati per sviluppare nuove armi». Ora la tv americana Cnn, dall’analisi di foto satellitari, mappe e informazioni ha confermato che fra 2020 e 2025 è stato ampliato il 60% dei 136 siti implicati nella produzione di missili e nella gestione e sviluppo della Forza Missilistica, il corpo di ben 120.000 uomini che ha il monopolio dei 3500 missili, fra balistici e da crociera, a breve, medio e lungo raggio, lanciati da terra, a testata sia convenzionale, sia nucleare, di cui dispone la Cina. Vanta il rango di forza armata indipendente, a fianco di Esercito, Marina e Aviazione e su di essa il presidente Xi Jinping punta molto.

Sono stati ingranditi negli ultimi 5 anni almeno 65 siti di produzione di missili e 22 basi della Forza Missilistica, con nuove strutture, bunker, capannoni, spesso mimetizzati, e perfino ferrovie interne di trasporto dei componenti, per oltre 2 milioni di metri quadri. Fra gli esempi, nel 2024 un sito industriale abbandonato fuori Xian è stato trasformato in un centro di sperimentazione per testate ipersoniche, mentre la fabbrica di missili Nanjing Chenguang di Nanchino è stata accresciuta del 27%. Nella provincia dello Shanxi un villaggio agricolo è stato sostituito da un centro missilistico, il che sembra richiamare un “trasformare aratri in spade”. Già nota al Pentagono è poi la costruzione di ben 350 nuovi silos di lancio sotterranei (forse alcuni sono esche) per missili intercontinentali fotografati dai satelliti americani in tre zone desertiche del Paese, a Yumen, nel Gansu, ad Hami, nello Xinjiang, e a Ordos, nella Mongolia Interna.

William Alberque, analista dell’istituto Pacific Forum ed ex direttore del controllo degli armamenti NATO, dice: «La Cina si sta posizionando come superpotenza globale: siamo nelle fasi iniziali di una nuova corsa agli armamenti». Frattanto, Xi ha sancito mercoledì l’entrata in servizio della terza portaerei cinese, la Fujian, visitandola mentre era ormeggiata alla base di Sanya, nell’isola di Hainan. Lunga 316 metri, disloca 80.000 tonnellate e imbarca «oltre 50 aerei», che possono decollare grazie ad avveniristiche catapulte elettromagnetiche, al posto delle tradizionali catapulte a vapore. Una tecnologia che hanno solo gli americani a bordo della loro nuova portaerei Gerald Ford. La Fujian, che fra le ultime prove di mare aveva navigato lo scorso settembre al largo di Taiwan, si aggiunge alla Liaoning e alla Shandong, ma la Cina ha già in cantiere una quarta portaerei, ancora senza nome, con cui lancia agli USA la sfida per il dominio del Pacifico.