Tra la pace giusta, che è l’utopia parolaia per lavare le coscienze dell’Occidente, e la pace imposta con la sponda trumpiana da Est, l’Ucraina si dibatte nell’impossibilità di un’azione diplomatica. E non ne ha, soprattutto, la leadership politica di Kiev, dissanguata dagli scontri sul campo di battaglia e falcidiata dalla corruzione di palazzo arrivata fino ai piani più alti, non lasciando immune neppure la figura di Volodymyr Zelensky. L’eroe della resistenza anti-Putin è stato messo all’angolo dalla corte celeste di cui si era contornato, che arraffava a mani basse dal fiume di danaro e di aiuti di mezzo mondo.
Il dilemma del politico teorizzato da Henry Kissinger si ripropone nell’insalata russa della guerra nel Donbass: quando la conoscenza è minima il margine d’azione è massimo, quando la conoscenza è massima non c’è più alcun margine per un’azione creativa. La Casa Bianca diffonde vapori di ottimismo su un cessate il fuoco, la Russia non ha alcun interesse a congelare la situazione prima che l’inverno blocchi l’attività bellica, l’esercito ucraino non ha né la forza né la speranza di poter uscire dalla spirale strategica involutiva: niente superarmi a credito illimitato, niente riserve da cui attingere, niente allentamento della pressione nemica. Siano 28, siano 19, i punti che inchiodano gli sconfitti al prezzo della pace sono quelli.
Di Pasquale: "A Zelensk y resta solo un governo di unità"
Direttore dell’Osservatorio Ucraina all’Istituto Gino Germani, Massimiliano Di Pasquale è un pesarese...Il resto è stillicidio quotidiano di attacchi aerei e scontri terrestri, e rosicchiamenti continui della linea di resistenza. Quando tutto sarà finito Zelensky dovrà farsi da parte, e non solo perché Putin non riconosce la legittimità della sua presidenza. I valori etici che hanno fatto accettare dagli ucraini di battersi perché aggrediti, perché difendono la propria terra, perché non possono né vogliono piegarsi alla forza bruta del potente vicino, non hanno retto al test dello scontro aperto e agli scandali che hanno spezzato il vincolo di fiducia verso la classe dirigente che si arricchiva mentre i soldati morivano al fronte. Il presidente in mimetica che ha incarnato la volontà di combattere oggi è quello che non si è accorto di ciò che accadeva nella sua cerchia. Il pugno di ferro mostrato per parare la falla morale e penale nel fronte interno è apparso un gesto disperato.
Quando le sirene antiaeree non lacereranno più l’aria delle città sotto attacco, Zelensky dovrà caricarsi sulle spalle il prezzo della sconfitta: che sarà pesante, su cui i russi non faranno sconti e per il quale gli americani non forniranno agevolazioni. Zelensky lascerà certamente la presidenza e assai probabilmente dovrà lasciare pure il suo Paese, dove per lui non ci sarà più posto e dove la nuova classe dirigente di una nazione debellata e a sovranità limitata gli farà i conti in tasca gettando su di lui l’ombra del sospetto. L’esilio, dorato o forse no, è un epilogo pressoché scontato.
Ucraina, tocca a Umerov: chi è l'uomo a cui si aggrappa Zelensky
Ci sono tre nomi per sostituire il dimissionario Yermak nel suo ormai ex ruolo di capo di capo dell’ufficio del Pr...Allora come oggi valgono le parole adoperate da Enrico De Nicola con Vittorio Emanuele III nell’incontro di Ravello del 1944 per indurlo a rinunciare al trono: «Maestà, noi studiosi di diritto penale sappiamo che vi è una particolare forma di responsabilità: la responsabilità obiettiva, cioè responsabilità anche senza atto e senza colpa. I sovrani hanno molte responsabilità obiettive, fra le quali questa: il sovrano che dichiara una guerra e la perde deve lasciare il trono, da Napoleone I a Napoleone III, dagli Asburgo agli Hohenzollern, per citare i più importanti precedenti storici». Vale anche per chi la guerra la subisce e poi è sconfitto: o cade o va in esilio.




