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Energia, "razionamenti obbligatori": ecco quando scatta la più estrema delle misure

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Sandro Iacometti
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È una specie di roulette russa quella a cui sta lavorando la Commissione europea. Se almeno due Paesi Ue dichiareranno lo stato di emergenza, scatterà automaticamente il razionamento dell'energia per tutti. Anche per chi, paradossalmente, in questi mesi ha fatto la formichina, ha riempito gli stoccaggi o si è procurato fonti alternative per le forniture di combustibile. La riduzione dei consumi, stando almeno all'ultima bozza del piano che verrà presentato oggi, avverrebbe sulla base di un meccanismo obbligatorio che prevederebbe un taglio percentuale ancora da definire (l'ipotesi va dal 5 al 20%) ma uguale per tutti, calcolato sulle media ponderata dei consumi nazionali degli ultimi cinque anni. Veti, unanimità? Nulla di tutto questo. Tecnicamente la misura sarebbe contenuta in un regolamento del Consiglio approvabile senza meccanismi di codecisione e con la sola maggioranza qualificata.

 

 

 

GLI ANNUNCI DI GAZPROM

Insomma, a forza di annunciarlo alla canna del gas siamo arrivati davvero. Per carità, dopo aver invocato le «cause di forza maggiore», ieri Gazprom ha assicurato che giovedì, finita la manutenzione programmata, i flussi del gasdotto saranno riattivati. Notizie che hanno addirittura sgonfiato la pressione in Europa sui prezzi del metano. Credere agli scagnozzi di Putin che da settimane, con una scusa o l'altra, ci stanno centellinando il combustibile (e che dopo aver sbandierato l'export record in Cina, ieri hanno annunciato accordi di collaborazione sull'energia con l'Iran) non è facile. Ma anche se fosse, gli esperti sembrano ormai convinti che passare il prossimo inverno al caldo sarà comunque un'impresa non da poco. Un paio di giorni fa l'Agenzia internazionale dell'energia ha avvertito senza mezzi termini l'Europa che se procediamo a questi ritmi di riempimento degli stoccaggi e non riduciamo da subito la domanda di gas ed elettricità con l'arrivo del freddo saranno guai per tutti. Un'analisi più economica, ma ugualmente terrificante è quella arrivata ieri dal Fondo monetario internazionale. Un approccio frammentato alle fonti di approvvigionamento del gas, dopo un'eventuale chiusura delle forniture dalla Russia, secondo l'Fmi potrebbe tradursi per l'Italia in una perdita di Pil compreso tra il 3,5% e il 5,5%. Fanno peggio, in Europa, solo l'Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica Ceca. Con un approccio integrato al mercato del gas la perdita di Pil in Italia si potrebbe contenere tra lo 0,5% e il 2%. Per essere chiaro, parliamo di cifre che oscillano tra i 36 e i 100 miliardi di prodotto interno lordo. Non proprio bruscolini.

 

 

 

IMPATTO SIGNIFICATIVO

Anche altri Paesi subiranno, come il nostro, «impatti significativi», a partire dalla Germania e dall'Austria. Mentre chi attinge con più facilità ai mercati internazionali dell'energia se la caverà con una sforbiciata della crescita forse inferiore all'1%. In ogni caso, si tratterebbe di un terremoto per il Vecchio continente. Ed è per questo che la Ue, convinta che Mosca stia per staccare il gas da un momento all'altro, come ha detto ieri un portavoce della Commissione, sembra pronta a prendere provvedimenti drastici. Per una volta, però, da Bruxelles, complici anche le pressioni di Paesi con mix energetici molto più efficaci del nostro, arriva un'idea non balzana. Inizialmente la Commissione era intenzionata a stabilire obiettivi di razionamento specifici, come il tetto massimo a 19 gradi per il riscaldamento e quello minimo a 25 per i condizionatori. Poi si è deciso invece di indicare il target della riduzione del consumo di gas e lasciare che ognuno scelga la soluzione che preferisce. Questo potrebbe costringere il governo, se non si vuole che la gente scenda in piazza con i forconi, a rivedere alcune scelte scellerate di politica energetica, come quella ad esempio di non riavviare subito le centrali a carbone, che permetterebbero di sostituire circa 6 miliardi di metri cubi di gas all'anno. La libera scelta, però, avrà dei paletti. E questo è probabilmente il punto più dolente che terrà occupati gli ambasciatori Ue (e i ministri dell'Energia che si riuniranno per il via libera lampo il 26 luglio). Si tratta delle cosiddette industrie energivore: dalla carta all'acciaio, alla ceramica al vetro. La Commissione nel piano fornirà una lista dei settori su cui gli Stati membri dovranno concentrarsi per il razionamento, in base anche al rapporto tra consumo energetico e rendimento. I governi nazionali saranno chiamati a imporre le riduzioni, fornendo compensi per alleviare i costi anche sui posti di lavoro. Del tetto al prezzo del gas, ovviamente, non c'è alcuna traccia.

 

 

 

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