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Europa, il centrodestra stoppa la stangata green: via l'obbligo di ristrutturare

Antonio Castro
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Un rinvio a dicembre che è già una mezza vittoria. Quantomeno una soddisfazione per l’Italia che- con un patrimonio immobiliare unico al mondo e particolare da adeguare ai rigidi parametri europei della riclassificazione energetica - rischiava di andare a sbattere contro in diktat europeo insostenibile. Considerando che si doveva arrivare al 2030 già con i primi obiettivi già raggiunti.

TRATTATIVE AD OLTRANZA - Dopo una nottata di trattative ad oltranza (i lavori sono stati tirati lunghi oltre le 3 di giovedì notte), ma poi alla fine, in vista dell’alba, è stato deciso di posticipare a dicembre la decisione. Per tentare di agguantare un accordo sostenibile, e quanto più condiviso possibile, senza mettere in affanno milioni di famiglie e decine di migliaia di imprese che non sarebbero neppure in grado di stare dietro a dei ritmi così “serrati”. Fratelli d’Italia in Europa da tempo si è intestata (insieme agli alleati della Lega e di Forza Italia) questa battaglia. «Per come inizialmente presentata, la proposta europea sulle case green aveva le sembianze di una patrimoniale mascherata», sintetizza Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, e noi ci «siamo «battuti per evitare una vera e propria stangata di migliaia di euro alle famiglie».

 

 

L’esperienza precedente condotta dalla Gran Bretagnache ha già deciso di rinviare dal 2030 al 2035 il passaggio ad un parco auto non più termico - potrebbe indicare la via anche all’Europa. Secondo un rapporto pubblicato dal Ccc, l’organismo indipendente ha suggerito a Downing Street di rallentare. Non solo sul settore automotive ma anche per quanto riguarda la riqualificazione del patrimonio immobiliare. Un paragone che vista la datazione di costruzione d’Oltremanica può, in alcuni casi, essere d’esempio all’Italia. E infatti il primo ministro conservatore britannico Rishi Sunak ha già «alleggerito importanti politiche di decarbonizzazione degli edifici e dei trasporti e ha inviato un messaggio alle imprese e alla comunità internazionale, affermando che avrebbe concesso al Regno Unito più tempo per la transizione verso tecnologie pulite fondamentali», ha dichiarato il presidente del Ccc Piers Forster. A fine settembre Sunak ha annunciato che il divieto di utilizzo di caldaie a petrolio, Gpl e carbone sarebbe stato posticipato per «dare piu tempo» ai britannici già colpiti dalla crisi del costo della vita. Londra è ormai fuori dall’Unione europea ma gli effetti economici degli alti tassi d’interesse e del rallentamento economico sono identici. E quindi il “laboratorio” anglosassone potrebbe fare scuola anche in Europa. La furia ambientalista che ha spinto la maggioranza di centrosinistra europea sembra aver esaurito buona parte della spinta politica. Frans Timmermans, principale ideatore e promotore del Green Deal nel frattempo si è dimesso dalla Commissione europea.

 

 

E dopo essere stato vicepresidente dell’Esecutivo Ue ha deciso di lasciare il suo ruolo per candidarsi alle elezioni olandesi come capo della lista dei Socialdemocratici (PvdA) e Verdi (GroenLinks) per cercare di contendere al liberale Mark Rutte la guida del governo de L’Aia. Mollando i colleghi con la pratica green tutta ancora da sistemare. C’è da riconoscere che- a inizio della legislatura europea che ora volge agli sgoccioli - le premesse di base erano ben diverse. In questi anni abbiamo attraversato una pandemia globale. Siamo andati a sbattere con una crescita dell’inflazione che non si vedeva da decenni. Il costo della vita - che erode i salari e mette già in difficoltà le famiglie - e tentenna a ritornare a tassi accettabili.

L’economia rallenta, se non ristagna. Una lista di variabili che ha cambiato le carte in tavola. Insomma, forse è anche maturata la consapevolezza che è necessario più tempo - e una congiuntura globale un tantino più favorevole - per riscadenzare il calendario ed erode i salari per la Bce, con un costo del denaro esploso per scelta di Francoforte di adeguare a stretto giro milioni di abitazioni ed edifici residenziali.

 

 

E la trattativa notturna sembra aver partorito una sterzata verso un adeguamento più sostenibile. Nei tempi e nei modi di applicazione. Il nodo politico resta nell’articolo 9. La Commissione europea aveva ipotizzato standard minimi di efficientamento. I negoziatori sembrano aver archiviato l’ipotesi di definire ora i requisiti di ristrutturazione dell’Ue per i singoli edifici basati su classi energetiche armonizzate. Ora si parla di un parametro stabilito su base nazionale. Saranno in sostanza gli Stati membri a selezionare il grado di ristrutturazione in base al loro sistema nazionale di classi energetiche e alla loro traiettoria nazionale di ristrutturazione.

LIBERTÀ DI ATTUAZIONE - Resta da stabilire, nel prossimo incontro negoziale che dovrebbe essere anche l’ultimo prima della fine dell’anno, una percentuale fissa di risparmio medio di energia primaria da raggiungere rispettivamente entro il 2030 e il 2035, con strategie nazionali che determineranno i successivi sforzi di ristrutturazione in linea con l’obiettivo di un parco edifici a emissioni zero entro il 2050, che rimarrà come nella proposta della Commissione europea.

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