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FdI a processo per "fascismo"? Meglio il ristorante: aula deserta

Brunella Bolloli
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Doveva essere il “processo” europeo imbastito contro la pericolosa «rinascita del neofascismo», dopo i fatti di Acca Larentia, è stato un fuggi fuggi dei compagni con destinazione il ristorante. Alla sessione plenaria dell’Europarlamento, convocata ieri sera a Strasburgo, si sono presentati al massimo in trenta (su 700) e dire che il dibattito era stato fortemente voluto dalla sinistra per attaccare il governo italiano e in particolare Fratelli d’Italia. Peccato che oltre allo scarso numero degli intervenuti non ci sia stato neppure un voto finale. Tradotto: solo chiacchiere con contorno d’indignazione progressista sul raduno dello scorso 7 gennaio a Roma.

È da qui, infatti, che si parte per fomentare il solito timore del rigurgito fascista che starebbe guastando le democrazie di mezza Europa; da quell’adunata di estrema destra che avviene ogni anno nella via sulla Tuscolana dove nel 1978 i tre giovani camerati, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, sono stati assassinati di fronte alla sede del Movimento Sociale. I primi due furono ammazzati subito per la semplice ragione che stavano facendo volantinaggio per il concerto di una band neofascista, il terzo, coinvolto negli scontri tra “rossi”, “neri” e forze di polizia, morì qualche ora dopo. Una strage, quella di Acca Larentia, che rappresenta una ferita ancora aperta per la comunità della destra, non solo romana, tanto più che le circostanze dell’agguato non sono mai state chiarite né i responsabili sono stati assicurati alla giustizia. L’attacco fu poi rivendicato dai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale, ma le responsabilità dei tre omicidi non vennero mai davvero accertate.

 

 

Ogni 7 gennaio, qualunque governo sieda a Palazzo Chigi, centinaia di giovani di estrema destra commemorano le vittime di Acca Larentia e lo fanno con il saluto romano e il rito del “presente”, riti che senza dubbio fanno tanto Ventennio, ma queste teste rasate non sono certo rappresentate nelle istituzioni, visto che Giorgia Meloni da tempo ha preso le distanze da Casapound e galassie neofasciste.

Quest’anno la scena militaresca ha sollevato un polverone. Bersaglio, ovviamente, Fdi, l’esecutivo. Così, alle interrogazioni di Pd e M5S a Montecitorio, si è aggiunto il “processo” a Strasburgo, con il solito ritornello da parte dei “compagni”: «Perché il premier non dice una parola sui neofascisti di Acca Larentia?». Ma per quanto gli eurodeputati inquisitori si siano sforzati di attaccare il partito del capo di governo, alla fine a emergere sono state le tantissime sedie vuote. Basta vedere la foto. Sì, è intervenuta Ylva Johansson, la commissaria Ue agli Affari interni, che si è dichiarata «preoccupata perché gli episodi legati alla rinascita dei neofascismi stanno crescendo tra i confini degli Stati membri». La socialista svedese ha ammesso però che si tratta di frange «marginali» e ha fatto una sorta di mea culpa: «Il nostro compito è affrontare le frustrazioni nate negli ultimi anni con politiche ben ponderate». Quindi l’appello in vista delle elezioni di giugno: «Le democrazie muoiono se i democratici non agiscono».

 

Dopo il discorso della commissaria è andato subito in scena lo scontro, a trazione italiana, tra i gruppi politici. Con un convitato di pietra: Giorgia Meloni, of course. Socialisti, Renew, il gruppo di cui fanno parte i renziani, e M5S hanno puntato il dito contro il «silenzio assordante» della presidente del Consiglio. «Vediamo che Manfred Weber è assente, ritiene Meloni ancora una buona alleata?», attacca la liberale Sofie in’t Veld invitando Ursula von der Leyen a chiedere a Meloni, oggi nell’incontro di Forlì, di condannare la parata di Acca Larentia. «Quanto accaduto è uno sfregio che ha fatto il giro del mondo», incalza il capodelegazione del Pd Brando Benifei laddove Sandro Gozi e Nicola Danti, esponenti di Renew, hanno condannato «il silenzio complice» della leader di Fdi rispolverando anche l’attacco alla fiamma nel simbolo elettorale. Al coro degli indignati si è aggiunta Tiziana Beghin, dei Cinquestelle. Ma le loro lamentele sono state respinte dal centrodestra unito. 

Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia-Ecr in Ue, ha replicato: «Oggiin Italia le minacce alla sicurezza pubblica vengono soprattutto dall’estrema sinistra e dal radicalismo islamico. Non c’è nessun rischio di ritorno del fascismo, la democrazia è al sicuro e difesa saldamente da Giorgia Meloni, che ha già più volte espresso parole di netta condanna di ogni ideologia totalitaria e di ogni nostalgia». Il copresidente di Ecr, Nicola Procaccini, ha rincarato la dose: «Quest’aula vuota, disertata dagli stessi parlamentari che hanno voluto il dibattito, spiega quanto sia più importante per gli antifascisti da salotto trovare posto al ristorante, piuttosto che tra i loro banchi qui, in Parlamento». Procaccini ha osservato che «l’obiettivo delle sinistre era diffamare l’Italia e dispiace che, come al solito, si presti a questa operazione così spregiudicata anche la sinistra italiana, ancora incapace di comprendere le ragioni del proprio fallimento politico ed elettorale». Per l’azzurro Fulvio Martusciello il problema non è un possibile ritorno del fascismo in Italia («non esiste un fascismo cattivo e uno buono», ha detto), quanto «il nazismo tornato in Europa con la mancata condanna delle efferatezze commesse dai miliziani di Hamas contro i civili israeliani, in particolare contro le donne, il 7 ottobre».

 

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