Bella effervescente la “famigliola” europea. Come in qualsiasi convivenza forzata-dove spesso ci si tollera più per necessità che per unità di intenti- basta che si debba mettere mano al portafogli per suscitare un putiferio. E così è successo pure tra i soci di Bruxelles. C’è da riconoscere a Ursula von der Leyen, presidente della commissione europea al secondo mandato, l’incredibile capacità di mettere d’accordo tutti i 27 gli azionisti grandi e piccoli della famiglia europea: nessuno degli Stati condivide l’ipotetica proposta di bilancio per il prossimo settennato. Il tutto a meno di 48 ore dalla presentazione alla stampa del monumentale volume.
Entro il prossimo dicembre 2027 l’Europarlamento e i governi in Consiglio dovranno approvare il bilancio per il 2028-2034. Una bastonata finanziaria da 1.980 miliardi di euro. C’è da dire che dei quattro pilastri che costituiscono l’impianto generale a far infuriare i soci europei ci sono sì i tagli in arrivo ai tradizionali capitoli di sostegno europeo (agricoltura, coesione, competitività e azione esterna che da 7 verranno aggregati in 4), ma non solo. La proposta di bilancio europeo prevede lo scippo di parte della tasse che i singoli Stati già rifilano ai rispettivi contribuenti. La creatività fiscale della Commissione ha generato un mostro che si chiama “prelievo straordinario sul fatturato”. Se un’azienda fattura più di 100 milioni l’anno dovrà pagare un balzello che andrà dritto dritto nelle casse comunitarie. Il tutto per incassare la bellezza di 6,8 miliardi di euro in più l’anno e rimborsare così i prestiti accesi per il NextGenerationEu. Al tempo stesso c’è anche da incrementare notevolmente l’esborso finanziario per foraggiare il bilancio Nato. Miliardi non bruscolini.
Nel pieno della imprevedibile trattativa con gli Stati Uniti sui dazi commerciali, che Donald Trump intende ritoccare pesantemente, l’Europa si sveglia (come e più di sempre) con la coperta corta. E quindi neppure si può ipotizzare di far infuriare l’alleato americano.
Da una parte c’è il conflitto tra Ucraina e Russia che non accenna a sfumare. Mosca tira dritto incurante delle minacce di un ritocco delle sanzioni economiche. Misura che Vladimir Putin ha aggirato modificando (in maniera creativa) la rotta delle esportazioni russe.
Spingendo ulteriormente Mosca nelle braccia dell’Asia. Un continente affamato di forniture energetiche. Senza andare troppo sul sottile sulla provenienza del gas o del greggio. India e Cina - con coltre 2 miliardi di bocche da sfamare hanno bisogno benzina per far girare le rispettive galoppanti economie.
E se non bastasse la voracità energetica asiatica, c’è tutto il potenziale mercato del resto del sud est asiatico, del Sud America. Insomma circa il 70% dell’economia mondiale che non ha aderito alle sanzioni commerciali occidentali. La situazione in Medio Oriente è sempre più incandescente. E i conflitti invece di sfumare dilagano. Siria, Iran, Yemen, Libano. Gaza è ormai una spianata di cemento. La Cisgiordania ribolle.
L’Egitto fa fatica a far quadrare i conti perché con la guerra alle porte di affari se ne fanno pochi. Bruxelles non può fare spallucce. Ogni singola nave porta-container che invece del Canale di Suez fa rotta sul Capo di Buona Speranza si traduce in un rincaro sulle merci che proviamo noi europei ad esportare. Su ciascun oggetto che la globalizzazione galoppante ci ha portato in casa.
L’effetto domino sui costi dell’energia, l’aumento dei prezzi del commercio e una crescita economica da percentuali omeopatiche, rappresentano le tre variabili sulle prospettive future Ue.
Può bastare? No. Dall’Africa spingono ondate di migrazione. E a Bruxelles? Ursula pensa ad una nuova tassa sulle imprese con un fatturato superiore ai 100 milioni l’anno di fatturato. Con buona pace di tutte le chiacchiere sul “nanismo” delle nostre aziende nei confronti dei colossi internazionali. Benvenuti in Europa.