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Donald Trump, chi può incolparlo per il suicidio Ue sull'auto?

Ma siamo proprio sicuri che l’Europa voglia davvero bene a se stessa? E che tutti i nostri problemi arrivino dall’altra parte dell’Oceano? No, perché quando Mario Draghi, la cui fede europeista è assiomatica, striglia con ferocia le politiche suicide del Vecchio Continente scatta la standing ovation
di Sandro Iacomettimercoledì 10 dicembre 2025
Donald Trump, chi può incolparlo per il suicidio Ue sull'auto?

3' di lettura

Certo, c'è quel cattivone e buzzurro di Donald Trump che ce l'ha a morte con l'Europa. Quel troglodita fascistoide di Elon Musk che profetizza la nostra scomparsa e non perde occasione per prenderci a bastonate. Ma siamo proprio sicuri che l'Europa voglia davvero bene a se stessa? E che tutti i nostri problemi arrivano dall'altra parte dell'Oceano? No, perché quando Mario Draghi, la cui fede europeista è assiomatica, striglia con ferocia le politiche suicide del Vecchio Continente scatta la standing ovation. Quando la stessa presidente Ursula von der Leyen corregge il rotta ammettendo che molti errori sono stati fatti nessuno s'indigna. E in fondo anche quando Barak Obama, una decina di anni fa, ci diceva che eravamo degli scrocconi non ci sono state sollevazioni di popolo. Ci mancherebbe che ci mettessimo a contestare il premio Nobel per la pace. In altre parole, la questione è che Trump ci sta antipatico o che le sue parole hanno sollevato i quintali di polvere che la Ue nasconde da anni sotto il tappeto, pensando (o sperando) che qualcuno poi venga a pulire?

Non vogliamo parlare di armi, di guerre e di istinti bellicisti? Bene, parliamo di economia. «I politici europei affermano di volere un'industria automobilistica sostenibile. Ma stabilire normative irrealistiche solo per poi modificarle alla fine di ogni anno, quando i consumatori non si presentano, è la ricetta per un caos. Questo approccio interrompe un complesso ciclo di progettazione, ingegneria e catene di fornitura del prodotto che richiede lunghi tempi di consegna e miliardi di investimenti. Abbiamo urgente bisogno di un quadro normativo per l'Europa che fornisca un orizzonte di pianificazione decennale realistico e affidabile». A scrivere queste righe, in un articolo apparso sul Financial Times, è Jim Farley, che non è europeo, ma è il capo di un'azienda, la Ford, che in Europa fa affari da circa un secolo. E che solo ieri ha stretto un accordo con Renault per produrre due dei suoi modelli da destinare al mercato continentale, proprio per dimostrare l'importanza del nostro mercato per il gruppo e l'intenzione di continuare ad investirci.

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L'analisi di Farley, che se ne frega del partito Maga e vuole solo portare a casa buoni affari, ha poco a che fare con le ideologie e molto con la realtà. «Da un lato», spiega, «ci troviamo di fronte ai mandati sulle emissioni di carbonio più aggressive al mondo, normative che impongono un ritmo di elettrificazione slegato dalla realtà della domanda dei consumatori. Dall'altro, ci troviamo di fronte a un'ondata di importazioni di veicoli elettrici sovvenzionate dallo Stato dalla Cina, strutturalmente progettate per indebolire la manodopera e la produzione europea». E, tenendo conto che la Cina ha una sovraccapacità produttiva più che sufficiente per vendere veicoli ad ogni nuovo cliente in Europa, il risultato è racchiuso in numeri, non in strali antieuropeisti: «La produzione di veicoli nell'Ue è ora inferiore di 3 milioni di unità rispetto ai livelli pre-Covid. Gli stabilimenti stanno chiudendo. Solo nel 2024, 90.000 posti di lavoro sono scomparsi. Questa non è una transizione. È più simile a una dismissione dell'industria automobilisti ca europea».

Gli anti trumpiani sono in possesso di dati per contestare il manager? Gli odiatori di Musk possono negare che le scelte europee, per quanto nobili, hanno fatto collassare il settore dell'automotive trascinando dietro tutta la manifattura del Vecchio continente? Tanto più che la crisi è cominciata ben prima della nuova presidenza Usa. L'Europa, dice Farley, «si trova di fronte a una scelta binaria. Può promuovere un'industria automobilistica fiorente e competitiva che sia leader mondiale nella tecnologia verde. Oppure può aggrapparsi a obiettivi irraggiungibili e vedere il suo mercato dominato dalle importazioni mentre le sue fabbriche arrugginiscono». Impossibile dargli torto.

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