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Referendum giustizia, per arginare i pm il Parlamento non basta: servono le urne

Francesco Carella
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Dalla lettura, ancorché superficiale, di un manuale di sociologia delle organizzazioni complesse si possono apprendere le dinamiche di fondo che sottendono i comportamenti delle grandi burocrazie. I burocrati si muovono seguendo logiche granitiche in forza delle quali ogniqualvolta avvertono- a causa delle più svariate contingenze storiche - una debolezza da parte di altri poteri della società pongono in essere immediate "strategie dilatative", occupando territori impropri e aumentando di conseguenza la propria sfera d'influenza. Talché, riportare entro l'alveo fisiologico un potere burocratico di tale fattura risulta impresa titanica. Ed è precisamente ciò che sta accadendo in Italia dopo che per oltre trent' anni l'espansione della giurisdizione a scapito della sfera politica ha di fatto prodotto, per dirla con le parole di un raffinato giurista come Gaetano Insolera, «una modificazione, in termini di costituzione materiale, della ripartizione dei poteri disegnata dalla legge fondamentale». La qual cosa induce a credere che il nodo rappresentato dal conflitto politica/giustizia sia per le ragioni che at tengono alla natura stessa delle burocrazie (come abbiamo sopradetto) che per le interessate ambiguità della sinistra difficilmente potrà essere sciolto attraverso la sola azione parlamentare. Le difficoltà incontrate dal ministro Cartabia in questi giorni ne sono una riprova. A dimostrazione di ciò, vale la pena di ricordare che numerosi sono stati i tentativi messi in campo finora per riportare il potere giurisdizionale lungo i binari di una democrazia liberale, ma le proposte riformatrici sono sempre state rigetta tenon di rado in modo sprezzante. Alcuni pubblici ministeri si sono spinti al punto da parlarne come di vere e proprie azioni eversive. Ora che finanche l'Unione europea sollecita il nostro Paese a sanare alcune evidenti anomalie del nostro ordinamento giudiziario non è più tollerabile che coloro che avanzano modifiche incentrate in primo luogo sulla distinzione - sia in termini di carriera che di funzioni - fra magistratura requirente e giudicante (in sintonia con quanto accade in tutte le democrazie occidentali) continuino ad essere apostrofati quali pericolosi sovversivi. Del resto, dopo che la pubblica opinione è venuta a conoscenza dell'esistenza - attraverso il caso Palamara - di una lobby politico -giudiziaria con solide radici in alcuni settori della sinistra, la domanda da porre sia a una parte della classe politica che alla magistratura militante è la seguente: gli italiani (sono sempre di più) che nei sondaggi esternano sentimenti di sfiducia circa l'imparzialità nell'amministrazione della giustizia sono tutti mossi da un pregiudizio anti -toghe o, viceversa, esprimono semplicemente il legittimo desiderio di avere un sistema giudiziario coerente con i princìpi di una liberal -democrazia? Nei corsi di diritto costituzionale viene spesso ripetuto che affinché «il suddito si trasformi in cittadino è necessario che sia il potere esecutivo che quello legislativo rispettino le norme, ma è altresì indispensabile che esse vengano applicate da un giudice indipendente nei fatti e nelle forme». Fra pochi giorni partirà la raccolta di firme per i sei referendum sulla giustizia promossi dal Partito radicale e dalla Lega di Matteo Salvi ni. È già accaduto altre volte che l'intervento diretto dei cittadini abbia innescato processi di modernizzazione nel nostro Paese. La storia spesso preferisce andare in replica.

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