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Magistratura, il sondaggio: 4 italiani su 5 chiedono che i giudici paghino per i loro errori

Filippo Facci
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Pare gli italiani siano molto favorevoli ai referendum sulla giustizia e pare che, a proposito, abbiano anche le idee piuttosto chiare. La trasmissione «Anni 20» di Raidue (con Alessandro Giuli e Francesca Parisiella) ha proposto tre sondaggi a proposito, come si vede nella tabella: e va detto che fare un sondaggio sui quesiti di un referendum non può che riproporre i pregi e i limiti dello stesso referendum, soprattutto se il tema è in parte complesso come lo è la giustizia italiana. E' il primo dato da cogliere, anche basandosi sull'alta affluenza di chi ha già firmato per proporli: che non si tratta di generici quesiti sulla propria concezione della giustizia, ma di una forte e definitiva spinta affinché si trovino soluzioni radicali (ci si passi il termine) a problemi radicali più volte affrontati e più volte non risolti. È questo, pure, che non entra nel cervello degli oppositori ai referendum: che è vero, i temi sono già stati affrontati, ma le pezze e toppe legislative che avrebbero dovuto trovare delle soluzioni sono stati ridicoli a parere anche del più tecnicamente sguarnito dei cittadini. Il sondaggio, diversamente dagli eventuali referendum, difetta della decente campagna informativa che verrebbe fatta prima di votare: cosa non fondamentale per alcuni quesiti, ma forse, per altri, sì. Per esempio: «È giusto modificare la legge sulla carcerazione preventiva?», chiede il sondaggio; risposte: «No, va mantenuta com'è» (52 per cento); «Sì, va applicata solo in caso di reati gravi e con il pericolo di reiterazione» (46 per cento) e «non sa» il 2 per cento. Abbiamo citato prima questo dato perché è l'unico che risulta controcorrente rispetto agli intenti originari dei propositori.

 

 

LE DIFFERENZE
Ma è anche vero che un pubblico non informato nello specifico, e tuttavia interpellato nel sondaggio, potrebbe non avere ben chiara la differenza tra carcerazione preventiva (che peraltro non si chiama neanche più così, bensì custodia cautelare) e il carcere inteso come pena definitiva, a sua volta tradotto come «certezza della pena» di cui la gente lamenta la mancanza: ma che, in ogni caso, è qualcosa che con la carcerazione preventiva non c'entra nulla. La custodia cautelare propriamente detta è quella che precede una pena eventuale, un processo eventuale, soprattutto una colpevolezza eventuale: è quella che secondo il bistrattato Codice del 1989 doveva essere usata solo come «extrema ratio» (eccezione estrema) e non come la regola assoluta, o, peggio, come lo strumento d'indagine che è divenuta da Mani Pulite in poi. È il primo gradino dell'ingiustizia, degli errori e cuor leggero e non risarcibili, delle carceri stracolme di gente che attende un giudizio definitivo e un po' meno strapiene di chi l'ha già ricevuto. Sono cose che una parte di italiani, che non vive di soli talkshow, non sempre ha ben chiara. Che la professione di giudice e quella di pubblico accusatore (pm) siano su piani decisamente diversi, paradossalmente, sembra forse più semplice da spiegare: così come lo è la commistione e l'ambiguità tra chi passa da una funzione all'altra con estrema facilità. Secondo il sondaggio («Come voterebbe al referendum sulla separazione delle carriere?») i favorevoli sono il 56 per cento, i contrari il 40, e i «non so» il 4 per cento. Sono tutti, nel complesso, «magistrati», e frequentano lo stesso palazzo, fanno gli stessi studi, sono vicini di ufficio: difficile credere che possano stare sul medesimo «piano giuridico» della parte difensiva, come il Nuovo Codice recitava e come la magistratura rifiuta concettualmente: perché i pm - dicono - non difendono una parte, difendono la verità, lo Stato.

 

 

BASTA IMPUNITÀ
Ma il sondaggio e l'eventuale referendum su cui il campione di italiani sembra avere meno dubbi è sicuramente quello che riguarda l'impunità delle toghe: «È giusto stabilire per legge la responsabilità dei magistrati?». Risposte: «Abbastanza/molto» per il 79 per cento, «poco, per niente» per il 19 per cento e «non sa» il 2 per cento. Insomma: gli intrallazzi, le impunità e le autentiche porcate fatte da una minoranza di magistrati (quelli che hanno più potere a svantaggio di quelli che non ne hanno, e che si accontentano di uno stipendio a crescita automatica) non sembrano più un mistero per nessuno, e non sono neanche più l'oggetto del contendere del cretinismo bipolare all'italiana. Il parlamento se n'è già occupato due volte, anche dopo un referendum. Nulla è cambiato. Il problema non è il colore politico dei magistrati, il problema sono i magistrati di per loro, l'ingiustizia del sistema di cui sono corresponsabili, i danni che colpevoli, innocenti e semplici spettatori ne ricevono complessivamente. Danni morali, materiali ed economici. Va detto che uno o forse due di questi quesiti referendari (e sondaggi) per avere una risposta realmente seria necessiterebbe di una riforma costituzionale. Sapere che cosa ne pensi il popolo è una preziosa fonte in più, prima di metterci le mani.

 

 

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