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Luca Palamara, le toghe accusate di "trattare" con lui? Toh, ecco che fine fanno: vergogna in magistratura

Paolo Ferrari
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Alla fine ha pagato solo Luca Palamara, cacciato con ignominia dall'ordine giudiziario. Il processo davanti alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura nei confronti dei cinque togati che parteciparono all'incontro organizzato dall'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati presso l'hotel Champagne di Roma, si è concluso ieri con sanzioni alquanto blande: sospensione dall'ufficio per un periodo da un anno e mezzo ai nove mesi. Meno della richiesta della Procura generale della Cassazione che avrebbe voluto per gli incolpati fino a due anni di stop dal lavoro. I cinque magistrati erano accusati di aver tramato con Palamara e i deputati del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri, quest' ultimo, magistrato in aspettativa, poi passato con Iv, per condizionare la nomina del nuovo procuratore di Roma. Il loro incontro nell'albergo romano era stato tutto registrato con il trojan inserito nel cellulare di Palamara dalla Procura di Perugia che in quel momento lo stava indagando per corruzione. Il classico "imprevisto". Secondo la Procura generale, in particolare, i cinque avevano tenuto un comportamento «gravemente scorretto nei confronti degli altri colleghi magistrati componenti del Csm» e «idoneo a influenzare, in maniera occulta, la generale attività funzionale della Commissione che si occupa delle nomine».

 

 

«IL PORCO CADE»
Tutti gli accusati avevano subito preso le distanze da Palamara, affermando di essere estranei ai suoi disegni illeciti. Una strategia difensiva, alla luce della sentenza di ieri, che ha riscosso successo. Per la Procura generale, infatti, i cinque avrebbero subito le pressioni di Palamara che mirava a condizionarne l'operato. Ma quale sarebbe stato, dunque, il disegno di Palamara? Vendicarsi nei confronti del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e del suo vice Paolo Ielo, gli artefici delle sue disgrazie giudiziarie, avendo inviato gli atti, da cui poi era scaturito il procedimento penale a suo carico, alla Procura di Perugia. Un procedimento che metteva a rischio la sua futura carriera. Palamara, inoltre, avrebbe pianificato una «strategia per danneggiare Creazzo», il procuratore di Firenze, uno dei principali aspiranti al posto di Pignatone. Il motivo? Creazzo avrebbe molestato con delle pesanti avances la pm antimafia Alessia Sinatra, grande amica di Palamara. «Promettimi che il porco cade», aveva scritto in un messaggino la magistrata a Palamara alla vigilia del voto per il posto di procuratore di Roma.

 

 

DAVIGO SU GRECO
Diversa, fin da subito, la ricostruzione di Palamara. L'ormai ex magistrato si era difeso dicendo che gli incontri fra politici e magistrati per le nomine ci sarebbero sempre stati e quindi nessuno doveva gridare allo scandalo. «C'è molta ipocrisia», ha sempre affermato Palamara al riguardo. Per l'ex numero uno delle toghe, impegnato in questi giorni nella campagna elettorale per le elezioni suppletive nel collegio uninominale di Roma-Primavalle alla Camera, il tema di fondo sarebbe stato un altro. L'inzio dei suoi guai coincise con la decisione di spostare l'asse di potere per decenni aveva governato la magistratura. Un asse a sinistra. Fra i componenti del collegio, il pm antimafia Nino Di Matteo. A questo punto resta solo da definire il procedimento nei confronti di Ferri. La sua posizione è stata stralciata in attesa che la Camera autorizzi l'utilizzo delle intercettazioni. La decisione è attesa per il prossimo mese. E sempre in tema di toghe, ieri su La7 l'ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo è tornato sulla loggia Ungheria, accusando sostanzialmente il procuratore di Milano di aver ritardato le indagini sulla P2 del terzo millenio.

 

 

 

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