Cerca
Logo
Cerca
+

Giulia Bongiorno, "la prima domanda dei miei clienti? La corrente del magistrato che li giudica"

Pietro Senaldi
  • a
  • a
  • a

«Diciassette anni fa ho sostenuto i referendum sulla procreazione medicalmente assistita. Un tema importante, ma numericamente riguardava una minoranza della popolazione. Eppure, il mio telefono non smetteva di squillare, ho ricevuto tantissime richieste di interviste e di interventi televisivi sull'argomento. Oggi, invece...".

Anche allora era un referendum balneare, 12 giugno...
«Dodici e tredici giugno, per la precisione. Erano stati concessi due giorni per votare, il che rende più facile il raggiungimento dell'adesione minima per considerare valida la votazione, il 50% degli aventi diritto più uno. Questa volta, invece, si voterà soltanto il 12. Perché?»

Quei referendum fallirono, però l'80% dei votanti si espresse a favore della fecondazione assistita, infatti poi venne fatta la legge che l'ha resa legale in Italia. Potrebbe andare allo stesso modo?
«No. Non ci si illuda che, se fallisce il referendum, possa ripetersi quanto successo nel 2005. Quanto meno, non in questa legislatura».

Però una riforma della Giustizia c'è già, quella predisposta dal Guardasigilli, Marta Cartabia. Perché non è abbastanza, se prevede un giro di vite nei passaggi tra Procura e Tribunali, evita le nomine a pacchetto nel Csm e fa valutare l'operato delle toghe anche dagli avvocati?
«Lei cita esattamente i profili utili che, alla Camera, ci hanno portato a votare a favore della Riforma, precisando con fermezza però che non è sufficiente a raggiungere gli obiettivi prefissati. Tutti eravamo d'accordo sulla necessità di combattere la degenerazione delle correnti che pervade la magistratura, ma il ministro ha dovuto mediare tra sensibilità partitiche troppo diverse e alla fine sono stati apportati solo piccoli ritocchi. La riforma è un passo avanti, ma è anche troppo blanda: è come tinteggiare un edificio pericolante sperando che non crolli. $ inutile, bisogna abbatterlo e ricostruirlo. Come con il Consiglio Superiore della Magistratura».

Lei crede che la riforma Cartabia sia stata un problema per i referendum sulla giustizia?
«Come ho detto, la riforma in sé presenta alcuni aspetti migliorativi dell'attuale sistema, ma senza dubbio è poco incisiva. Il fatto che se ne discuta contemporaneamente al referendum e che, al pari di alcuni quesiti referendari, abbia come oggetto il Csm, ha creato confusione. L'opinione pubblica e gli stessi media sono stati indotti a credere che la riforma basti a sanare i mali della giustizia, ma non è così».


Di giustizia, la senatrice Giulia Bongiorno può ben parlare. Tra i principali penalisti italiani, in quanto avvocato l'esponente della Lega non va giù con il randello, ma sa far capire le cose al suo interlocutore. Quando si batteva per la fecondazione assistita portava avanti un tema caro alla sinistra, e tutti la inseguivano anche se il problema riguardava una minoranza. Quella legge era da farsi, come poi infatti è stato malgrado il flop referendario, e da qui arrivano i due giorni di votazione anziché la sola data di questa volta. E il fallimento dello sciopero dei magistrati, lunedì scorso, è la prova che la riforma Cartabia è un pannicello caldo, «che non giustificava un atto dirompente come lo sciopero», precisa la penalista. Oltre a essere una principessa del foro, la Bongiorno è sicuramente tra gli avvocati che nutrono la più alta considerazione della magistratura. «Mio padre- ricorda- mi spingeva a tentare il concorso, ma io non ho mai voluto, non mi sento all'altezza di giudicare gli altri. E poi il magistrato dev' essere sopra le parti, non può assolutamente fare politica. Io invece voglio essere libera di essere di parte, sia in tribunale sia nella vita pubblica. Proprio per questo mi sono candidata in parlamento».
L'ex ministro della Pubblica Amministrazione (alla Giustizia, i grillini le preferirono l'ineffabile Alfonso Bonafede) è persuasa che il referendum faccia bene soprattutto ai giudici, «perché l'attuale sistema alimenta in tutti il fondato timore che, quando si apre un processo, ci si possa trovare inermi, intrappolati in una macchina infernale».

Avvocato, è possibile che in realtà la gente sia poco interessata ai quesiti referendari, e che appunto per questo i giornali non ne parlino?
«No, non penso. Dopo numerosi scandali, la magistratura ha perso credibilità: oggi c'è molto più interesse sul tema della degenerazione delle correnti e sull'inefficienza del sistema. Il punto è che non se ne parla abbastanza. Adesso il dibattito è concentrato sulla guerra, e questo è comprensibile, ma spero che almeno nei prossimi giorni, con l'avvicinarsi del 12 giugno, possa esserci un'informazione adeguata».

Il solito asse giornali-sinistra-magistrati degli ultimi trent' anni?
«No, perché questo voto non è contro i magistrati come categoria, ma a favore dei magistrati vittime della degenerazione delle correnti. Moltissimi non hanno alcun interesse a mantenere lo status quo e di certo andranno a votare. Semmai, nel contesto storico di una pandemia e di una guerra in atto, la notizia del referendum non ha avuto fino ad ora il giusto risalto. Mi auguro che nei prossimi giorni ci sia adeguata attenzione al tema».


La sinistra, però, continua a difendere i magistrati politicizzati...
«Ormai anche la sinistra, se non tutta, almeno in parte, ha piena consapevolezza dei danni creati dal correntismo esasperato. Ma c'è sempre la tendenza a sostenere che la magistratura riuscirà a riformarsi da sola. Io invece non lo credo affatto. So anche che molti esponenti del Pd voteranno a favore dei referendum».

A che punto è il braccio di ferro tra toghe e politica?
«Lo hanno vinto le toghe, e da tempo. Lo scandalo Palamara e le rivelazioni contenute in diverse pubblicazioni avrebbero dovuto spingere il parlamento a una radicale riforma del Csm, che invece non si vede neanche all'orizzonte. Solo piccoli ritocchi, come dicevo. Ora le diverse correnti della magistratura sono in conflitto tra loro per conquistare spazi sempre maggiori di potere individuale».


Però, tra i partiti, solo Lega e Radicali ci mettono la faccia...
«Spero in una rapida crescita di interesse sul tema da parte di tutti i cittadini, la giustizia è materia che riguarda l'intera comunità. Credo fortemente in questa battaglia che stiamo affrontando nel silenzio mediatico. Molti parlamentari non hanno espresso pubblicamente la loro posizione, ma concordano in pieno con la necessità di un cambiamento profondo della giustizia. Ho apprezzato moltissimo, invece, che il sindaco di Bergamo, Gori, abbia preso posizione sposando le ragioni referendarie».

Oggi gli italiani come considerano la magistratura?
«La prima domanda che mi fanno i clienti quando arrivano in studio non riguarda più la pena che rischiano bensì la corrente a cui appartiene il magistrato assegnatario del procedimento. Credo che questo la dica lunga».

Ma i magistrati sostengono che il correntismo non è eliminabile. Lei cosa ne pensa?
«Credo che gli orientamenti politici vadano lasciati fuori dalle aule di giustizia e fuori dal Csm. Prendiamo per esempio coloro che, anche pubblicamente, si oppongono al sorteggio dei membri del Csm perché non garantirebbe l'equilibrio degli orientamenti politici. Questa obiezione mi fa venire i brividi. Ma quando un giudice o un pm indossa la toga o fa parte del Csm non dovrebbe accantonare le proprie opinioni politiche? Sarebbe come se un sacerdote assolvesse o condannasse il peccatore in base alla propria sensibilità e non secondo i dettami della dottrina religiosa».

Entriamo nel dettaglio: perché è giusto votare sì ai referendum?
«Prendiamo la scheda gialla. In un processo, il giudice dovrebbe essere terzo rispetto alla difesa e al pubblico ministero. Tuttavia, poiché le correnti in magistratura sono potentissime e decidono sulle carriere dei singoli, potrebbe capitare che un giudice si faccia condizionare nel verdetto dall'appartenenza del pm a una corrente in grado di incidere sul suo futuro. Una netta separazione delle carriere sarebbe un'autentica svolta liberale per il nostro sistema. Solo la spinta popolare del referendum indurrebbe il legislatore, troppo timido nell'affrontare questo tema, a percorrere finalmente la strada del giusto processo».

Questo spiega perché in Italia le sentenze a volte vengono ribaltate in appello di 180 gradi?
«No, non generalizziamo. Capita spesso che un giudice commetta un errore di giudizio, ma in certi casi dubitare del possibile condizionamento politico del magistrato è lecito. Stadi fatto che una giustizia non equa e inefficiente, dove giudici e pm possono passare liberamente da una funzione all'altra, costituisce una minaccia per tutti».

Passiamo alla scheda grigia, quella sulle valutazioni autoreferenziali dei giudici. Perché votare sì?
«Non le sembra strano che, malgrado lo sconquasso della giustizia, praticamente tutti i magistrati ottengono valutazioni positive sul proprio operato? È ragionevole pensare che almeno qualcuno non sia eccellente? Dire sì vuol dire bocciare l'attuale sistema di valutazione».

Ma non è stata la Corte Costituzionale la prima grande sabotatrice dei referendum?
«Il referendum sulla responsabilità dei giudici, quello non ammesso dalla Consulta, avrebbe senz' altro fatto da volano per tutti perché era il tema più comprensibile: "Chi sbaglia paga"».

Tanto più che trent' anni fa la Consulta lo aveva accolto, gli italiani votarono per la responsabilità delle toghe. Ma poi la volontà dei cittadini fu aggirata con un escamotage, trasferendo sullo Stato la responsabilità materiale e il dovere di risarcire l'errore della toga...
«Onestamente, non riesco a trovare una spiegazione per la bocciatura del quesito sulla responsabilità civile. Ma aggiungo che anche gli altri due referendum bocciati, quello sull'omicidio del consenziente e quello sulla legalizzazione della cannabis, ai quali avrei votato no, sarebbero stati di grande richiamo per gli elettori».

Su quei temi, però, si potrebbe anche legiferare con maggiore facilità...
«Sulla droga la Lega ha una posizione netta e rigorosa, ben diversa da quella di altri partiti. Certo, poi su alcuni temi come il fine vita da sempre i partiti tendono a non legiferare, perché ciascuno teme di urtare la sensibilità del proprio elettorato e di perdere consenso. Personalmente, credo che una grande forza politica debba sempre schierarsi orientando i propri elettori sui temi di ampio respiro e non debba agire con lo sguardo focalizzato unicamente sul presente». 

Dai blog