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Referendum giustizia, la Rai si autoassolve? Serve a poco: il Pd resta l'azionista di riferimento

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Francesco Storace
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Dormivano dal 14 maggio, data dell'ultima riunione della vigilanza Rai. Avrebbero fatto bene a continuare a poltrire, se l'esito della seduta di commissione di ieri è stato quello che abbiamo visto con i nostri occhi. L'amministratore delegato Carlo Fuortes, voluto dal Pd, criticato dalla parte del Pd che non lo voleva. Il cosiddetto "caso Orfeo" gestito come peggio non si poteva. Risultato: tarallucci e vino, l'ad è tornato a viale Mazzini con un po' di lividi addosso, ma tutto sommato la nottata è passata e lui sta ancora là. I dem lo hanno ripassato come si deve, a quanto pare inutilmente. Periodo più negativo la Rai non poteva passarlo. La rivoluzione delle direzioni di genere comincia nel peggiore del modi e la commissione chiamata dalla legge a controllare quello che succede è come se non ci fosse. O meglio: si manifesta il mandante di ogni pianta che si muove nell'azienda, ovvero il Pd, e tutto va avanti come prima, senza un mea culpa dell'uno o degli altri. Ma la realtà rimane quella della solita azienda lottizzata dove l'azionista di riferimento richiama all'ordine chi ha chiamato a gestirla.

 

 

 

Fuortes caccia dagli approfondimenti giornalsitici un direttore come Orfeo e nomina un direttore come Orfeo al Tg3, nel nome della massima fiducia. Toglie dal Tg3 Simona Sala e nomina Simona Sala direttore del genere intrattenimento. Da lì sposta Antonio Di Bella e lo mette dove era Orfeo. Scusate, commissari della vigilanza, voi avete capito perché, oltre alle consuete lotte di potere a viale Mazzini? Il cambiamento quando arriva, o dobbiamo tenerci solo le sceneggiate del partito democratico, fazione no Fuortes? E comunque gli attacchi del Nazareno sono stati durissimi e circostanziati anche sul tema dei cosiddetti filo putinisti alla Rai. Andrea Romano è arrivato ad azzardare un parallelismo incredibile: «È come se in altre epoche si fossero fatti dibattiti tra Goebbels e Anna Frank...». Tanto per tradurre il livello delle contestazioni, se ne fa portavoce il deputato di Italia Viva Michele Anzaldi, che ha detto in faccia a Fuortes, che se la Rai fosse stata quotata in borsa, «con tutte le critiche ricevute, sarebbe crollata».

 

 

 

Per l'opposizione parlamentare, ha parlato Federico Mollicone di Fdi che ha chiesto conto della gestione dei soldi pubblici, di quella delle produzioni ormai «appaltate a potentati esterni», trascurando «la più gloriosa tradizione di produzione interna all'azienda». Ma Fuortes non risponde e se risponde divaga. La commissione di vigilanza non vigila e lascia correre lo show di un amministratore delegato sempre più in difficoltà. La domanda è quanto possa durare questo brutto periodo della Rai. Perché se contestazioni di indubbia asprezza non sortiscono effetti c'è da chiedersi che fine abbia fatto il controllo parlamentare sul servizio pubblico. Tra le cose più straordinarie dette in commissione dall'Ad Rai, quella sui referendum: «Abbiamo rispettato alla lettera vincoli e indicazioni della vigilanza». Non se ne è accorto nessuno, a meno che l'organo parlamentare abbia stabilito di nascosto l'oscuramento della consultazione elettorale.

 

 

 

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