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Messina Denaro, il sospetto di Vittorio Feltri: "Indisturbato per 30 anni, forse..."

Vittorio Feltri
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Siamo felici, siamo contenti e le mani battiam riverenti agli uomini dello Stato che hanno messo i ferri a Matteo Messina Denaro, famoso mafioso ricercato da 30 anni. Lo hanno inchiodato non in un casolare sperduto di campagna, bensì a Palermo in una rinomata clinica del centro, nella quale era in cura per un tumore al colon. Segno che non sentiva il fiato sul collo dei carabinieri e della polizia. Questo è il punto. Non appena la Meloni si è insediata a Palazzo Chigi, il caput delle cosche sicule è stato incastrato. Un caso? Non sappiamo, ma è un fatto che le cose sono andate proprio così. Quindi onore a Giorgia che evidentemente ha tolto al criminale ogni protezione. Cosicché è stato catturato quando meno se lo aspettava.

 

 

 

 

Episodi analoghi ne esistono parecchi. Molto tempo fa fu acchiappato Totò Riina, principe di cosa nostra anche questi sfuggito per lustri alla giustizia, e ora morto, pace all'anima sua. Fu pizzicato indovinate dove? Nella casa in cui abitava indisturbato situata nel centro della città. Nessuno se ne era accorto benché il boss non fosse uno sconosciuto. Come mai? Ci conviene pensare si trattasse soltanto di sbadataggine. Ma qualche dubbio rimane. Lo stesso accadde per Provenzano, altro leader importante del clan di assassini nel mirino storto degli inquirenti da un quarto di secolo. Come mai quando si cerca un capobastone rinomato e pericoloso nessuno riesce a pescarlo se non dopo la morte di tre o quattro vescovi? L'interrogativo è interessante proprio perché non ha una risposta certa. Probabilmente nella simpatica società siciliana molta gente che magari sa vita morte e miracoli - si fa per dire- dei dittatori dell'onorata società preferisce tacere, per paura o convenienza, e così si spiegherebbe il motivo per cui i leader della criminalità organizzata campano a lungo tra il popolo senza inciampare nelle forze dell'ordine, forse anche esse intimidite dagli efferati malavitosi.

 

 

 

 

Difficile sposare altre tesi, pur considerando l'impegno degli agenti nella lotta alla mafia, quasi sempre capace di sfuggire alle loro grinfie per ragioni oscure. Comunque siamo orgogliosi in questo momento in cui si celebra l'incarcerazione di Messina Denaro la cui fama di stragista senza scrupoli è diffusa quanto quella di un campione del calcio, senza confondere le pedate al pallone con quelle inferte a tante vite umane ritenute degne di essere massacrate. Un'ultima riflessione. Il personaggio incarcerato, vedendolo docilmente salire sull'auto della polizia, mi ha fatto quasi pena sapendo che è ammalato di tumore. Quando un uomo, anche se è stato un feroce assassino, sta combattendo contro un male spesso incurabile suscita in noi un sentimento che assomiglia alla pietà, anche se non la meriterebbe.

 

 

 

 

P.S.: ieri Libero ha pubblicato in prima pagina un mio articolo sui vecchi che girava a pagina 11. Per un grave errore della redazione, nella ripresa del pezzo all'interno del giornale, è stato omesso un capoverso per cui lo scritto, così mutilato, appariva infine del tutto incomprensibile. A nome dei colleghi che hanno commesso l'errore, mi scuso con i lettori. 

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