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Open Arms, lo strano intervento "a piedi giunti" di Caselli sui magistrati siciliani che giudicano Salvini

Francesco Damato
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In una intervista a caldo dopo la richiesta di sei annidi carcere a Matteo Salvini per il presunto sequestro di migranti, cinque anni fa, sulla nave Open Arms e la solidarietà espressa all’imputato dalla premier Giorgia Meloni, del cui governo il leader leghista è vice presidente del Consiglio e ministro questa volta delle Infrastrutture, anziché dell’Interno come nell’esecutivo di allora, Giancarlo Caselli si è richiamato, in una intervista al Fatto Quotidiano, al compianto e sicuramente autorevolissimo Alessandro Galante Garrone. Che disse: «In certe situazioni non basta per un giudice essere intellettualmente onesto e professionalmente preparato: per poter ricercare e affermare la verità bisogna anche essere combattivi e coraggiosi».

Morto poco meno di 21 anni fa, Alessandro Galante Garrone non poteva materialmente riferirsi a “circostanze” neppure lontanamente immaginabili e paragonabili a quelle in cui è maturato il processo in corso contro Matteo Salvini. Anche se ai suoi tempi si era già verificato quel forte squilibrio nei rapporti fra politica e giustizia lamentato nel 2010 dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrivendo pubblicamente delle “Mani pulite” del 1992 e anni successivi. Uno squilibrio aggravatosi con la sostanziale autorizzazione suicida della politica agli sconfinamenti del potere giudiziario mettendoli praticamente al servizio della lotta fra i partiti, a volte fra le loro stesse correnti, e fra le maggioranze e le opposizioni di turno.

 

 

Il processo a Salvini, autorizzato dal Senato con i voti determinanti dello stesso partito- quello delle 5 Stelle- che lo aveva difeso per un’analoga vicenda di nave bloccata con migranti, prima che il leader leghista decidesse di far cadere il primo governo di Giuseppe Conte per tentare le elezioni anticipate, è proprio uno degli atti suicidari della politica. Non è arbitraria, ma solo cronachistica, la “ritorsione” della quale il leader leghista parla quando si riferisce a Conte e al contributo dato in Parlamento ad un processo mancato invece per la vicenda, l’anno prima, della nave della Guardia Costiera Ubaldo Diciotti.

Ma torniamo a Giancarlo Caselli e al suo richiamo ad Alessandro Galante Garrone, che lui ha voluto attualizzare al processo contro Salvini dicendo testualmente: «Se Meloni interviene a piedi giunti su un processo in corso bisogna essere qualcosa in più di un giudice intellettualmente onesto per fare il proprio lavoro, nell’unico Paese al mondo dove la politica non accetta di essere giudicata». Già magistrato di alto livello e uomo dalle notoriamente forti e radicate opinioni, non credo che Caselli possa offendersi se gli riconosco un certo ascendente sulla categoria della quale ha fatto parte, a carriere non separate fra pubblici ministeri e giudici.

Un ascendente al quale forse egli non ha pensato, nella foga del commento critico all’«intervento a piedi giunti» della presidente del Consiglio sulla richiesta di sei anni di carcere a Salvini, ma che può ben essere visto, intravisto, avvertito, come preferite, pensando ai giudici che a Palermo dovranno emettere la sentenza accettando o respingendo, o in difformità dalla pesante richiesta dell’accusa e dalle sue motivazioni. Ne avrebbero il pieno diritto, penso. È proprio a questi giudici che Caselli, volente o nolente, ha chiesto di dimostrare, ripeto, «qualcosa in più di intellettualmente onesto». Ma che cosa? Per rimanere alla “combattività e coraggio” evocati da Alessandro Galante Garrone, penso che giudici e pubblici ministeri ne abbiano dimostrato abbastanza morendo ammazzati nell’espletamento del loro lavoro da criminali di ogni risma e colore.

Mi chiedo se lo debbano dimostrare in un processo come quello in corso a Salvini resistendo pregiudizialmente alla tentazione di un’assoluzione, magari pensando a quanto potrebbe rimanervi male chi si aspetta o reclama una condanna. E solo quella. Se la Meloni è intervenuta a favore dell’imputato Salvini “a piedi giunti”, come è intervenuto Caselli con la sua intervista, peraltro avventuratasi poi su altri terreni, come la vicenda Toti che lascio fuori da questo commento? Per la risposta mi affido allo stesso Caselli, confidando nella stessa onestà intellettuale richiamata invia generale da Alessandro Galante Garrone.

 

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