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Tendopoli-polveriereItaliani contro immigrati

Emiliani in minoranza nei campi della protezione civile. Basta una fila per i pasti ed esplodono le liti

Lucia Esposito
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Trema ancora il suolo del Modenese. Ma la scossa delle 8 del mattino, di magnitudo 3.8 e quella delle 14, del 3.1, non sorprendono quasi più nessuno. Chi è di qui ormai, un po' a stento, riesce a sopportare, ma gli immigrati stanno abbandonando in massa le zone del terremoto. «Molti di noi sono già tornati in Marocco, ma a spese proprie. Il nostro ambasciatore è anche venuto qui in visita da Roma. Ma è meglio che non torni, perché lo accogliamo a sassate», si sfoga Bekali Lahcen, il 21enne vicepresidente della comunità islamica locale, composta da circa 800 persone, di cui 80 nel campo principale, con annesso luogo di culto-moschea. Più che con i sanfelicesi, accusati di rendere difficile l'integrazione e con i giornalisti che cercano di scatenare la «guerra del ragù», ce l'ha con «i nostri diplomatici che sono venuti per fare un elenco dei nostri nomi. Poi non hanno fatto più nulla. Ci hanno raccontato delle barzellette». A suo parere, «sono cose che succedono soltanto in Italia. In Francia o in Belgio, avrebbero organizzato subito il rientro per tutti». Che siano contagiati dalla rivolta anti-casta o dalla primavera araba dell'anno scorso, non importa. Devono arrangiarsi anche loro come possono. Va a finire, come sempre, che la solidarietà nei loro confronti arriva dagli italiani. Anche se a tutto c'è un limite. Mentre a Cavezzo si spiana il terreno per piazzarci le tensostrutture per le mense aggiuntive e si montano nuove tende, ovunque nella zona la parola d'ordine è «alleggerire». La tensione, innanzitutto. «Dopo la seconda scossa di martedì, i nervi sono tesi», dice il responsabile del campo di Mirandola gestito dalla Protezione civile del Friuli Venezia Giulia, Mario Pugnetti. «Servirebbero gazebo come punti di raccolta delle varie etnie», sempre sull'orlo dell'attrito con le altre. Prima si ignoravano. Ora devono accettare e digerire gli uni l'esistenza degli altri. Il 60 per cento dei 500 ospiti sono stranieri. Gli italiani, minoritari, li accusano di aver «gettato via 60 pasti, perché rifiutano di mangiare la carne di maiale. Vorrebbero il pesce, s'immagini, come se fossimo al ristorante. Poi non rispettano la fila e le altre persone». Gira anche la voce di una lite fra un marocchino e una napoletana per l'utilizzo di una lavatrice. In realtà, i volontari del campo hanno tolto il bucato della signora alla fine del lavaggio. Lei invece ha dato la colpa all'uomo, invitandolo con veemenza a tornare al suo paese d'origine. Per evitare che si degeneri, lui si rivolge civilmente ai poliziotti per spiegare la situazione. E comunque, deve rimanere qui «perché ho tre figli con me, mia moglie ha partorito ieri all'ospedale di Carpi e io sono un operaio, in congedo di paternità». Renderebbe felice perfino il ministro del Lavoro Elsa Fornero, per il suo senso di responsabilità. Per quanto riguarda gli italiani ostili, «i disperati sono loro». Per sé e la sua famiglia, invece, quel padre non può neanche permettersi di pensare lontanamente ad arrendersi: «Anche se mi è crollata la casa che avevo appena comprato, so che c'è un Dio lassù». Sarebbe un punto di partenza per far incontrare le civiltà fra loro.  Eppure, servono psicologi e assistenti sociali perché i problemi di convivenza nascono anche per stupidaggini. Capita perché la temperatura, sotto le tende, è insopportabile. Non si possono azionare ventilatori. Per evitare il rischio di un'epidemia, si cerca di prevenire il problema sanitario con qualche cartello, chiedendo ai padroni dei cani «di raccogliere le deiezioni dei loro animali. Diversamente saranno allontanati dal campo». Sarebbero utilissime anche le trappole per la derattizzazione e si dovrebbe procedere a una disinfestazione urgente, anche se i volontari spruzzano continuamente i wc chimici di liquido disinfettante. Alla pulizia non si può rinunciare. Si fa la raccolta differenziata dei rifiuti e non c'è una carta o un mozzicone di sigaretta per terra. È che le tendopoli non sono più sufficienti. Alla perfieria di Mirandola, oltre al campo della Protezione civile del Piemonte, che ospita 237 persone, solo per il 25% italiani, è arrivato un altro modulo da 250 posti, con un posto medico avanzato. Nel giro di poche ore è operativo e ci sarà ancora disponibilità per un altro centinaio di sfollati. Intanto, un pullman di romeni è già partito, per ritornare in patria a spese del consolato di Bucarest a Bologna. di Andrea Morigi  

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