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Irap, vince l'Agenzia delle Entrate: si pagherà anche sulle plusvalenze del calcio

Il Consiglio di Stato dà ragione al Fisco: in ballo centinaia di migliaia di euro dal 2001 ad oggi

Giulio Bucchi
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Le squadre di calcio italiane dovranno pagare l'Irap sulle plusvalenze dei calciatori ceduti. La mazzata ai club arriva direttamente dal Consiglio di Stato che va incontro all'annosa richiesta dell'Agenzia delle Entrate: con il parere numero 5285 dell'11 dicembre, infatti, ha chiarito come "le eventuali plusvalenze realizzate in occasione della cessione dei contratti di prestazioni sportive dei calciatori siano da prendere in considerazione in sede di determinazione della base imponibile Irap". Si parla di decine di scambi l'anno dal 2001 ad oggi, per un totale di diverse centinaia di migliaia di euro che finiranno nelle casse dello Stato. Le motivazioni della sentenza - Secondo il Consiglio di Stato con la cessione del contratto viene ceduto il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta verso corrispettivo: "Diritto integrante bene immateriale strumentale – recita il parere – all'esercizio dell'impresa, sia sul piano tributario, poiché ammortizzabile, sia su quello civilistico, in quanto necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale". Il giochino delle plusvalenze - Una polemica, quella sulle plusvalenze, che va avanti a tempo perché il sospetto di scorciatoia finanziaria era in molti casi certezza. Nel 2001 fecero rumore, per esempio, gli scambi "alla pari" tra Inter e Milan di Pirlo e Guglielminpietro (nella foto), Brocchi e Brncic, Seedorf e Coco, Simic e Umit. Fino al caso limite di Helveg: "strappato" dai nerazzurri al Diavolo e poi riceduto in prestito praticamente gratuito (1.000 euro) di nuovo ai cugini rossoneri, che nel frattempo avevano realizzato una plusvalenza di 6 milioni. Campioni e bidoni, fenomeni e sconosciuti (come Davide Cordone, acquistato 28enne nel 1998 dal Milan, mandato in prestito al Monza e ceduto un anno dopo all'Inter in scambio con Fabio Di Sauro per oltre 4 milioni di euro di plusvalenza pura): tutti scambiati senza trasferimento reale di denaro, ma semplicemente valutati (o ipervalutati) alla stessa maniera per consentire alle società di mettere a bilancio un guadagno secco. Perché chi vendeva, ricorda il Sole 24 Ore, realizzava la plusvalenza immediatamente mentre chi comprava splamava il costo in cinque anni come prevedono i regolamenti sulla durata del contratto dei calciatori. Un trucchetto che ha retto per qualche stagione, presentando poi il conto salato sotto forma di debiti (e relativo spalma-debiti per salvare società a rischio crac). E ora arriva un altro conto, altrettanto salato. 

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