Walter Veltroni, una nuova poltrona in vista
Nichi Vendola dice che vuole andare in Canada. E questo potrebbe essere un problema per i canadesi. Ma, per il momento, ci sentiamo di rassicurarli: in fondo anche Veltroni è quindici anni che vuole andare in Africa eppure non s'è mai mosso da qui. Anzi: addirittura ora è in corsa per diventare presidente della Rai. Dal Continente nero al buco nero, dagli orfani della guerra agli orfani di Floris, dalle guerre tribali alle faide aziendali: come non capirlo? La Tv pubblica nasconde più insidie della giungla equatoriale. E uno che, come Walter, ha la vocazione alla missione-bontà non può restare insensibile al grido di dolore delle popolazioni che soffrono: la terribile carestia renziana ha colpito senza pietà, 150 milioni di tagli, sacrifici disumani, la fame alle porte, la desertificazione che avanza nel biafra esteso tra Saxa Rubra e Rainews. Siamo seri: come può Veltroni andare in Africa, quando la vera emergenza è la poltrona di viale Mazzini? Succederà così anche per Vendola, vedrete. Lo diciamo per rassicurare i canadesi. Un po' meno i pugliesi, si capisce: ma che ci volete fare? La vocazione migratoria dei nostri politici, purtroppo, funziona così: solo a parole. Nei fatti è frenata dalla forza attrattiva della cadrega, che è una vera e propria calamita. Vi pare? Non è che loro non se ne andrebbero, per carità, non stiamo dicendo che sono dei bugiardi. Ci mancherebbe. Loro sono sinceri. Ce la mettono tutta. A parole sono già oltre confine. È che poi, quando vedono una carica, un gettone, una prebenda, un consiglio d'amministrazione, insomma, quando vedono una poltrona, sale forte nel loro petto un'autentica nostalgia di casa. Forse sentono risuonare in vena persino un po' d'amore per la patria. Anche se, va detto, non sempre si tratta di un sentimento corrisposto. Non del tutto, almeno. Ma come si può fermare l'attaccamento alle proprie radici? Come si può biasimare chi rinuncia all'Africa (e ne siamo sicuri: persino al Canada) per dar retta al proprio sentimento più profondo? Prendete il povero Veltroni, sulla cui vocazione africana si spendono da anni ingiuste ironie, canzonette e dichiarazioni che lo sbeffeggiano in modo fin troppo facile. Lui è rimasto qui perché aveva una missione da compiere assai più importante che sfamare i bambini del Rwanda: doveva seguire il suo Dna. Perché lui, come ha spiegato a Paolo Mieli al Festival dei Due Mondi, quelle tre lettere lì, R-a-i, le ha “iscritte nel suo Dna”. Rai uguale Dna. E al Dna, come al cuor, non si comanda (a differenza che alla Rai). Lo vedete? Anche la location scelta per l'esternazione è simbolica: il Festival dei Due Mondi. Walter, in effetti, ha pure lui ha il piede in due mondi: idealmente è in Africa, da sempre. Fisicamente, però, non c'è mai andato. Ma non perché non volesse, solo che aveva sempre qualcosa da fare: prima il segretario del Pd, poi il presidente del Consiglio, poi il ministro, poi qualche corrente, e poi doveva litigare con D'Alema, poi doveva sostenere Renzi, e intanto scriveva libri, e faceva il film su Berlinguer, e nel frattempo se c'era da candidarsi a qualche altra carica, non è mica che il suo nome se l'è mai risparmiato nessuno, eh? Persino per la Federazione Italiana Gioco Calcio, solo qualche giorno fa, l'han di nuovo tirato in ballo. «Candidiamo Veltroni?». «Ma come? Non era in Africa?». «Prova un po' a cercarlo...». «No, che strano, non è ancora partito». «Allora dai, approfittiamone, fin che è qui...». Ma è ovvio che fra il gioco del calcio e la Rai, non c'è partita: Walter non ha mica scritto “football” nel suo Dna. Anzi: ha persino cambiato squadra, quand'è diventato sindaco, da juventino a romanista, che è un po' come disconoscere la propria mamma. La Rai, invece, quella non la disconosce mai. Per forza, è nel suo Dna. «Il mio sguardo è lo sguardo di chi pensa che quell'azienda può tornare a sviluppare una funzione decisiva», ha spiegato a Spoleto. E poi, già che c'era, ha anche abbozzato il suo piano editoriale, con le reti «non più differenziate per orientamento politico» ma per «vocazione editoriale» e via proclamando con il consenso di Mieli, e sottinteso quello di Renzi. Del resto lui è quello che accompagnò il compagno Natta da Raffaella Carrà, immaginiamo se non si trova d'accordo con Renzi-Fonzie che mette il chiodo e va dalla De Filippi ad Amici: «Vuol parlare a un pubblico più vasto», apprezza Walter che nei momenti decisivi sa sempre come far una bella figura. O, almeno, una bella figurina. Va beh, lo sappiamo, l'Africa sarebbe stato un posto più sereno per invecchiare: il settimo piano di viale Mazzini - si sa- è un po' più scomodo di un ospedale in Tanzania, la commissione vigilanza alle volte fa più paura di Boko Haran, la trattativa per i cachet di Sanremo è più pericolosa di un viaggio nella savana. Ma Walter è fatto così, oltre alla Rai, nel suo Dna ha anche la generosità. L'altruismo. Ci sono tante ferite da curare in via Teulada, le sofferenze dei palinsesti richiedono cure urgenti, i profughi di Ballarò abbisognano di aiuto, quelli di Licia Colò pure. Come poteva sottrarsi? E questa osservazione ci tranquillizza anche sul futuro di Vendola: non emigrerà neppure lui. I guai giudiziari e il disfacimento del Sel lo amareggiano, si capisce, il Canada è l'amato Paese del suo amato, più accogliente dell'Africa e ormai, per lui, pure della Puglia. Ma finché ci sarà una poltrona disposta ad accollarsi il suo peso, finché ci sarà un incarico pubblico, un consiglio d'amministrazione, una partecipata a gettone che richiederà il suo sacrificio, ne siamo certi: anche lui non saprà dir di no. Il Canada, dunque, e pure l'Africa, e l'Oceania e persino la Cappadocia possono aspettare. I nostri leader politici sono fatti così: annunciano grandi partenze, ma poi restano. A parole si trasferiscono, nei fatti no. Inutile persino mandarli a quel Paese: non ci vanno mai. di Mario Giordano