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Cresta sulla paga delle maestre, tre suore finiscono in Tribunale

Eliana Giusto
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Non c'è più religione. Che sia finita da un pezzo l'epoca in cui le suore erano viste da tutti come coloro che preferivano una via di preghiera e rinuncia alle comodità della vita laica, non è più un mistero. Così come sono archiviati nei cassetti della storia anche i tempi in cui temutissime e integerrime monache impartivano i propri metodi didattici a malcapitati alunni, sovente destinatari di dolorose bacchettate sulle mani. Quel che finora non era mai capitato, è scoprire che un gruppo di suore risultano attualmente indagate a Palermo con l'accusa di estorsione. Una di loro è già sotto processo mentre per altre due, fra una decina di giorni, comincerà l'udienza preliminare. Le sorelle palermitane avrebbero - secondo le accuse - imposto ad almeno due maestre che volevano lavorare nella scuola della loro congregazione di firmare buste paga in cui sarebbero figurate cifre quattro volte superiori rispetto allo stipendio effettivamente percepito. Se non avessero accettato emolumenti «da fame», le malcapitate insegnanti avrebbero dovuto dire addio all'impiego. Quel che è peggio è che, secondo l'accusa, la cifra eccedente sarebbe finita direttamente nelle tasche delle consorelle. Con buona pace del voto di povertà di evangelica memoria. Le tre suore della Congregazione delle Collegine della Sacra Famiglia con sede a Palermo, sono finite sotto le lenti d'ingrandimento dei magistrati. Le sorelle incriminate con l'accusa di avere imposto il «pizzo» si chiamano suor Teresa, al secolo Maria Alioto, direttrice del Collegio di Maria che si trova nel cuore del capoluogo siciliano; suor Stella, al secolo Angela Alaimo, madre superiora dello stesso Collegio; suor Gemma ovvero Carmela Oliva, responsabile dell'amministrazione. La vicenda sarebbe stata ricostruita minuziosamente dalla polizia. A far scoprire il presunto giro di ricatti è stata la denuncia di una maestra, che agli inquirenti ha dichiarato di aver percepito per dieci anni 310 euro al mese, nonostante avesse ricevuto buste paga indicative di importi pari a 1.200. Una condizione che avrebbe dovuto accettare per evitare di perdere il posto. La sua versione è stata confermata anche da un'altra insegnante, alla quale sarebbe stato riservato lo stesso trattamento e che figura fra i testimoni. Stando alla versione fornita dalla maestra, la sua decisione di sporgere denuncia sarebbe nata dopo il licenziamento avvenuto nel 2010, soprattutto per il fatto che l'eccedenza dei 310 euro da lei percepiti sarebbero stati intascati dalle religiose. La cifra sottratta dalle suore, secondo la ricostruzione del legale della donna, avvocato Giuseppe Pipitone, si aggirerebbe attorno ai novantamila euro. La direttrice, suor Teresa, è finita sotto processo davanti alla quinta sezione del tribunale di Palermo. Sarebbe stata lei, secondo l'accusa, a intrattenere rapporti diretti con la maestra accusatrice. Per le due consorelle, suor Stella e suor Gemma, dopo due richieste di archiviazione il giudice per le indagini preliminari Fernando Sestito ha disposto l'imputazione coatta. C'è di più: questa pratica - stando sempre alla versione della docente costituitasi parte civile - sarebbe proseguita anche dopo la fine del rapporto di lavoro. Infatti, l'insegnante avrebbe ricevuto un Tfr dimezzato rispetto all'importo che risultava dalle carte. di Alberto Samonà  

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