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Andreotti, Travaglio al veleno: "Idolo della Casta. Letta premier, Giulio è morto tranquillo"

Giulio Bucchi
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  Rinviato a giudizio. Già pochi minuti dopo la notizia della morte di Giulio Andreotti, il sito del Fatto Quotidiano titolava così la propria homepage, con mirabili arguzia e malizia manettare. Logico che l'indomani, sull'edizione cartacea del quotidiano diretto da Antonio Padellaro, il vicedirettore Marco Travaglio faccia sfoggio della sua penna velenosa per "rendere giustizia" allo storico leader Dc. Che, in linea con la politica filo-grillina abbracciata dal Fatto (ma condivisa da tempo non sospetto dall'editorialista), rappresenta il peggio del peggio della politica italica, il Male assoluto. E infatti, Travaglio finge di stupirsi: "Uno straniero atterrato ieri in Italia da un paese lontano durante la lunga veglia funebre per Andreotti a reti unificate, vedendo le lacrime e ascoltando le lodi dei politici democristi e comunisti, berlusconiani e socialisti, ma anche dei giornalisti e degli intellettuali da riporto di tutte le tendenze e parrocchie, non può non pensare che l'Italia abbia perso un grande statista, il miglior politico di tutti i tempi, un padre della Patria che ha garantito al Paese buongoverno e prosperità", è l'incipit del suo attacco al vetriolo, che manderà in visibilio gli anti-andreottiani, già parecchio attivi lunedì sui social network. I processi per mafia - Al centro delle polemiche, naturalmente, i processi che hanno segnato la fine della storia da protagonista politico di Andreotti. La mafia, il bacio al boss dei boss Totò Riina, l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Processi che, sottolinea Filippo Facci, l'hanno visto uscire da "incensurato". "Fu perseguitato con accuse false da un pugno di magistrati politicizzati, ma alla fine fu riconosciuto innocente e riabilitato agli occhi di tutti nell'ottica di una finalmente ritrovata pacificazione nazionale - sfotte invece Travaglio-. La verità, naturalmente, è esattamente quella opposta. Non solo giudiziaria. Ma anche storica e politica". Il giudizio del numero 2 del Fatto è durissimo: "Andreotti era il simbolo del cinismo al potere, del potere per il potere, fine a se stesso", "il primo responsabile, per longevità politica, dello sfascio dei conti pubblici che ancora paghiamo salato. Un politico buono a nulla, ma pronto a tutto e capace di tutto". "il principe del trasformismo", "un politico convinto dell'irredimibilità della corruzione e delle collusioni, che usò a piene mani senza mai provare a combatterle". "Andreotti idolo della Casta" - Per questo, secondo Travaglio, Andreotti è diventato l'idolo del famigerato "italiano medio", e soprattutto dei politici, "che han sempre visto in lui - amici e nemici - il proprio santo patrono e protettore. La sua falsa assoluzione, in fondo, era anche la loro assoluzione". Travaglio ricorda il commento di Silvio Berlusconi sui giudici che indagavano sul Divo Giulio ("matti, antropologicamente diversi dalla razza umana") e sparge veleno sul mai amato Pietro Grasso ("I magistrati più furbi e meno matti, come Grasso - scrive nel suo editoriale -, si dissociarono dal processo e fecero carriera". E poi, la stoccata finale a Enrico Letta: "Alla notizia che la Cassazione aveva giudicato Andreotti mafioso almeno fino al 1980, si abbandonò a pubblici festeggiamenti: Quante volte da bambino ho sentito nominare Andreotti a casa di zio Gianni. Era la Presenza e basta, venerata da tutti. Io avevo una venerazione per questa Icona!". Finale col botto: "L'altro giorno Letta jr. è divenuto presidente del Consiglio. E' stato allora che il Divo ha capito di poter chiudere gli occhi tranquillo".  

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