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Immigrazione, i centri di accoglienza per migranti "focolai di contagio di coronavirus". L'accusa di Openpolis e Action Aid

Salvatore Dama
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I centri di accoglienza sono luoghi di Covid-contagio, dormitori, posti mediamente inospitali dove si innescano rivolte, ma soprattutto una macchina per mungere soldi statali, privi di qualsivoglia vocazione sociale e umanitaria. È il quadro impietoso che emerge in un rapporto stilato da ActionAid e Openpolis. La situazione è drammatica. Ed è colpa dei governi di Giuseppe Conte. Che hanno favorito la dislocazione dei migranti nei grandi centri, a discapito del sistema dell'accoglienza diffusa. «Un terzo delle prefetture», emerge nello studio, «hanno riscontrato difficoltà nell'assegnare i posti in accoglienza. Il capitolato di gara incentiva i centri di accoglienza di grandi dimensioni a scapito di quelli piccoli e distribuiti sul territorio, aumentando così, fra le altre cose il rischio di contagio da coronavirus». AcitonAid e Openpolis ricordano che «molti gestori del terzo settore hanno deciso di non rispondere al bando per il sistema di accoglienza prefettizio. Di conseguenza, soggetti disposti a gestire strutture ridotte a dormitori, enti con dichiarato scopo di lucro o che non hanno competenze specifiche, sono cresciuti di importanza nel sistema a discapito degli attori con capacità e a vocazione sociale».

 

 

 

Italia spaccata - L'Italia è spaccata in due tra Nord e Sud. «Dall'analisi degli importi messi a bando dalle Prefetture per i vari tipi di centri di accoglienza straordinaria (unità abitative, Cas fino a 50 posti, Cas fino a 300 posti), si rileva che quelle del Centro Nord e soprattutto nel Nord Est (59,2% delle risorse stanziate per posti in abitazioni) hanno cercato di mantenere un modello di accoglienza diffusa. Nel Mezzogiorno, al contrario, permane la tendenza a favorire i centri collettivi e quelli di grandi dimensioni». Dal rapporto emerge anche che i problemi amministrativi e gestionali hanno portato negli ultimi due anni 34 prefetture a ripetere i bandi per l'accoglienza (circa un terzo delle prefetture italiane, ma potrebbero essere molte di più quelle con problemi nell'assegnazione), 14 di queste per tre volte di seguito. Le Regioni in cui il problema si presenta con maggiore frequenza sono l'Emilia-Romagna (27 ripetizioni), la Toscana (25) e la Lombardia (23). Ed ecco il dramma nel dramma: «I grandi centri sono diventati terreno fertile per il contagio. In un momento di emergenza sanitaria le criticità delle grandi strutture sono emerse con forza». L'assetto del sistema di accoglienza, basato sui grandi centri, «ha creato l'emergenza e innescato focolai di Covid19. In regioni di confine come il Friuli-Venezia Giulia e la Sicilia, nonostante sistemi diversi si è fatto ampio ricorso ai centri governativi per concentrare migranti in ingresso senza che si riuscisse a ridistribuirli sul territorio nazionale in tempi ragionevoli. Una situazione che ha prodotto tensioni sociali a livello locale, centri stracolmi e prassi lesive dei diritti delle persone ospitate».

Nuovi bandi - Poi lo studio di ActionAid e Openpolis accende un faro sulla Sicilia, dove «il sistema era già segnato dal modello basato sui centri collettivi, in vari casi di grandi dimensioni. Per lo più collocati in zone isolate, dal 2018 senza più i servizi di accoglienza, i centri si sono ridotti a semplici dormitori, rendendo ancora più esposte le persone migranti al rischio di diventare manodopera per il caporalato. Nella Regione su 9 prefetture solo 3 hanno messo a bando posti in unità abitative. I centri collettivi hanno avuto la netta prevalenza. A Ragusa, unico caso nella Regione, sono stati assegnati solo 42 posti (il 4,7 %) dei 900 messi a bando in Cas di medie dimensioni». Le cose non vanno meglio in Friuli Venezia Giulia, «dove si era affermato un modello di accoglienza diffusa e il terzo settore si è fortemente opposto al nuovo capitolato e ha disertato i bandi delle prefetture, che vedeva nel 2019-2020 per il 59,27% posti offerti per unità abitative. Una scelta che cercava di preservare un sistema sempre più distribuito sul territorio: i comuni coinvolti nell'accoglienza erano 100 (46% del totale) nel 2018. Al contrario, nel 2019 il numero si riduce a 64 (30%). Emblematica la situazione oggi a Trieste. Nella primavera 2019 vengono emessi due bandi senza esito positivo, entrambi i bandi vengono ripetuti a fine anno senza successo, ad oggi dei 1000 posti offerti dalla prefettura di Trieste ne sono stati assegnati solo 10». Solo cambiando profondamente i capitolati di gara, concludono ActionAid e Openpolis, «potremo parlare di una reale riforma del sistema di accoglienza». Il monitoraggio rappresenta il tassello fondamentale per qualsiasi miglioramento, sostengono da tempo i promotori dello studio, che «reclamano la pubblicazione tempestiva della relazione annuale sul sistema di accoglienza». 

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