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Giorgia Meloni? "Mejo pane e cipolla": la libraia che non voleva vendere il suo libro rischia di chiudere

Antonio Rapisarda
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L'avevamo lasciata così Alessandra Laterza, a fine maggio scorso, nel suo quarto d'ora di celebrità: con quel motto - «So scelte, mejo pane e cipolla» - con cui rivendicava il boicottaggio del best-seller di Giorgia Meloni (Io sono Giorgia), testo messo all'indice nella sua libreria come anti-commerciale, e illiberale, atto di resistenza. Quasi un anno dopo e una candidatura, l'ennesima, a sostegno del centrosinistra romano, la ritroviamo sul punto di chiudere letteralmente bottega. Il motivo? Non c'entra nulla, ovviamente, il fantomatico "bau-bau" sul ritorno delle camicie nere ma il più che prosaico aumento dei costi dell'affitto dopo il lungo lockdown: una piaga che fa piangere a destra a come a sinistra. Per questo motivo, oggi, "la libraia" che ha aperto la sua "Booklet Le Torri" a Tor Bella Monaca - quartiere popoloso e difficile della Capitale - ha convocato amici, sostenitori e il coté della sinistra "de' noantri". L'obiettivo? Cercare di salvare l'attività aggredita, questo sì, dalla crisi sociale del commercio ma anche - negli ultimi due anni - dal Comune di Roma (giunta Raggi) e da una riforma del ministro della Cultura Franceschini. Tutti, rigorosamente, espressione della sinistra di governo.

 

 

 

SPESE ECCESSIVE

Ma andiamo con ordine. A domanda diretta di una cronista di Repubblica, ossia se la vicenda della campagna contro il libro della leader di Fdi abbia influito negativamente sulle vendite, Laterza è tornata a gonfiare il petto: «Il problema non è che non ho voluto vendere il libro di Giorgia Meloni», ha spiegato. «Le vendite ci sono e sono anche tante. Il problema sono le spese». Fra queste, il canone d'affitto aumentato di 300 euro mensili dopo la crisi del Covid. Il risultato? Un debito di 13mila euro da saldare in sessanta giorni. Sennò sarà sfratto. A far lievitare queste spese è stato anche il pregresso. Perché nella pur breve vita della libreria (nata solo nel 2018) i problemi per la "libraia" sono arrivati spesso e volentieri dal fuoco amico. Due anni fa, ad esempio, si sfogava così dopo aver ricevuto la cartella comunale della raccolta rifiuti: «Ho una bolletta dell'Ama di 3mila l'anno», sbottava. «Un'enormità se rapportato al fatto che per un libro venduto a dieci euro ne guadagno tre». Sotto accusa non solo l'amministrazione grillina di allora ma anche il governo giallorosso. Il motivo? La legge sull'editoria e lo sconto massimo imposto. Ciò non le ha consentito più «di vendere i libri con lo sconto del 50%.

 

 

 

FUOCO AMICO

Una necessità in questo quartiere che ha il reddito pro-capite più basso di Roma». Insomma, i bastoni fra le ruote alla Laterza non sono giunti certo dai sovranisti. Anzi. Nonostante quello che sostiene, è probabile che la scelta di non vendere il libro della Meloni - partito che alle Comunali, proprio nel VI Municipio, ha ottenuto l'exploit del 21% - abbia indispettito e privato di tanti lettori la sua attività. Ma tant' è: «So scelte», direbbe la libraia. Per ciò adesso, a sinistra, si è arrivati alla resa del "conto". Dopo che la libreria in questi anni è stata politicissima passerella per tanti esponenti del Pd e dei suoi cespugli (solo per citarne tre: Alessandro Zan, Vladimir Luxuria e Laura Boldrini) è il momento per tutti costoro di mettere le mani al portafogli per sostenere la loro libraia resistente. Si capirà presto se saranno proprio loro a lasciarla «a pane e cipolla».

 

 

 

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