Cerca
Cerca
+

Willy, Marco Bianchi minaccia Barbara D'Urso: "Quella bellissima donna..."

I fratelli Bianchi

  • a
  • a
  • a

Marco Bianchi ha scritto una lettera di sette pagine all'Adnkronos. Recluso nella sua cella nel carcere di Viterbo per aver ucciso Willy Monteiro Duarte insieme a suo fratello Gabriele e agli amici Mario Pincarelli e Francesco Belleggia, lancia un messaggio al pubblico che sarebbe stato "influenzato" dalla narrazione dei media che avrebbero a loro volta guidato l'iter processuale. "Ho toccato il fondo. Ecco la vostra soddisfazione. È una cosa che non auguro a nessuno, la sensazione di essere da soli, al buio. Sono andato giù, ma oggi ho deciso di rialzarmi e combattere per la verità e per la vita", scrive Marco.

"Bravi ragazzi" - Che accusa i giornalisti e persino Barbara D'Urso e si rivolge alla madre del ragazzo massacrato di botte la notte tra il 5 e 6 settembre 2020 a Colleferro. "Io e Gabriele siamo ragazzi di cuore, sinceri - scrive in stampatello e in un italiano incerto - Tutte quelle cattiverie che hanno detto contro di noi non sono vere, sono state solo bugie su bugie per farci toccare il fondo. Siamo stati descritti sin dall'inizio, senza conoscere gli atti del processo, come mostri e assassini. Dai giornali e dai social è stata usata una nostra foto per dimostrare che eravamo due ragazzi che pensavano solo a fare la bella vita. Ho avuto la forza di guardarmi allo specchio, di essere fiero di quello che sono e di combattere per la mia innocenza". "Io e mio fratello", prosegue, "abbiamo sempre affrontato tutti i problemi per far capire la realtà delle cose, perché noi siamo così: disponibili, educati e rispettosi, sempre pronti ad aiutare i più deboli". 

Barbara D'Urso - Invece i problemi, sottolinea Marco, "li abbiamo avuti a causa dei giornalisti che hanno perso il controllo, raccontando falsità su falsità. Come quella bellissima donna di Barbara D'Urso, che è madre di un figlio e non si rende conto prima di fare le puntate su di noi. Dentro sa benissimo il danno che può creare dicendo bugie sul nostro nome. Lei dormiva serena, io no, sapendo la guerra che avrei affrontato l'indomani in carcere per le bugie raccontate. Posso capire che è il vostro lavoro ma almeno siate umani e umili nel dire la verità, perché tutti siamo figli, tutti siamo genitori e disgrazie come questa possono accadere a chiunque. Solo che qui, oltre alla disgrazia, c'è anche la beffa che il colpevole non si è preso le proprie responsabilità. Ancora con il sangue sulle scarpe, se ne sta tranquillo in casa sua", scrive riferendosi a Belleggia, unico imputato ai domiciliari. Quindi afferma che lui e Gabriele non sono "le brutte persone descritte dai media: quel ragazzo non è morto per mano nostra. L'ho messo in chiaro in aula, davanti al giudice, guardando in faccia la povera madre di Willy".

Due madri - Ed è da qui, a metà della lettera, che Marco Bianchi si rivolge a Lucia Monteiro. "Signora mia - si legge - ogni volta che ho la possibilità di guardarla, vedo il dolore e l'odio che può provare per chi le ha portato via suo figlio. È lo stesso sentimento che leggo negli occhi di mia madre, che è morta dentro e prova rancore per il vero colpevole, il bugiardo che ha rinchiuso i suoi figli in carcere al suo posto, per un crimine che non hanno commesso. Signora, io la guarderei come guardo mia madre. Se io e mio fratello fossimo gli artefici della morte di suo figlio, mai ci saremmo permessi di sostenere il suo sguardo come abbiamo fatto durante il processo, di guardarla come se guardassimo nostra madre. Non ci saremo mai permessi di negare le nostre responsabilità per tornare liberi: io, personalmente, mi sarei sentito sporco e infame". E .conclude: "Io la verità l'ho detta subito, a suo figlio ha dato una spinta e un calcio per allontanarlo dal mio amico Omar (Shabani, sentito in aula come testimone, ndr), ma l'ho colpito al fianco, vero è che non ha nemmeno fatto in tempo a cadere che si è subito rialzato. Non mi sarei mai permesso di infierire con le responsabilità che derivano dallo sport che sia io che mio fratello praticavamo. A noi la Mma ha insegnato ad essere uomini, ad avere il controllo di noi stessi e ad essere sempre lucidi nelle azioni che commettiamo. Lo sport non ci ha insegnato certo ad essere assassini, al contrario ad essere responsabili". 

Dai blog