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Mattia Luconi, che quel venerato corpo possa dare un po' di pace ai genitori

Renato Farina
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Mattia Luconi, che aveva 8 anni, è stato ritrovato. No, non lui. Non può essere tutto lì, in quel fagotto avvolto dal fango, il nostro Mattia. Quel suo sorriso intelligentissimo e un po' sperduto che abbiamo imparato a riconoscere nelle fotografie in vespa con suo papà, il suo modo di voler bene così particolare, non può essersi appallottolato in quel grumo di cellule straziate dalla corsa di un fiume impazzito. A rinvenire il corpicino- ma non sembrava esserlo, pareva uno dei tanti rimasugli inanimati portati dalla piena - è stato un agricoltore ieri pomeriggio. Guardate su Google Earth, o altrimenti sul vostro navigatore, il territorio tra Ponte Lucerta e Passo Ripe, comune di Trecastelli, località incantevoli con nomi inutilmente fiabeschi. Il nome della strada poi parla di tutto un'altro programma rispetto alla morte di quella nostra creatura: via della Santissima Trinità. Un segno? Ma quale segno, e di che cosa?

 


Troppo facile mettere sotto accusa la Trinità, dev' esserci abituata. Ma lo chiediamo lo stesso, come ogni volta il susseguirsi delle generazioni davanti a un inerme straziato: dov' eravate Persone del Mistero cristiano alle ore 20 e 05 di giovedì 15 settembre? E perché avete giocato con l'angoscia di Tiziano e Silvia, facendoli un momento sperare e quello dopo disperare? Avete sofferto anche voi, come già Cristo sul Calvario? C'è qualcosa di più grande e misericordioso della terribilità di questa morte, che ci sarà rivelato quando Mattia risplenderà nella luce? Lo sappiamo che «mille anni ai Tuoi occhi valgono un giorno», ma quando finirà il tempo del dolore innocente? Sono le domande di sempre, e non esistono parole, ma solo sedersi vicino ai suoi cari.


CRONACA
Cronaca, per favore. Il volto non permette ai genitori alcun riconoscimento, sono passati otto giorni, decomposizione ovvia, solo l'esame del DNA scioglierà legalmente un enigma dall'esito scontato: Mattia quella sera è stato strappato dall'abbraccio della mamma, salita invano su un albero, lo teneva e gli è stato portato via. E immaginate questo, se potete. Io non ci riesco. Quel corpo non è stato trovato dove lo si stava cercando, e dove l'esperienza degli esperti di soccorsi e di fiumi impazziti, pensava fosse stato trascinato. Per diciotto chilometri la Nevola lo ha portato con sé, madre ladra. Ho scritto il "nostro" ma noi non siamo ladri di bambini. Mattia era (è) ormai il bambino della porta accanto, uno che avremmo voluto accogliere in casa, cercare per lui su Rai Gulp un cartone animato, e non farlo salire sulla Mercedes piccola, classe A, travolta come una barchetta di carta dal maremoto: pioveva forte, bisognava lasciargli guardare la tempesta con il nasino schiacciato al vetro appannato della finestra. Ma chi poteva presumere che la Nevesa potesse trasformarsi da sorella gentile e allegra, salutata mille volte dal ponte, in una Idra vorace di carne innocente? Ah il senno del poi...

 

 


OCCHI DIVERSI
Adesso bisognerà che noi si abbia uno sguardo diverso verso il Mattia del pianerottolo di sotto, che con la sua mamma ci ruba al mattino presto l'ascensore, e sappiamo della sua esistenza solo per questa rottura di scatole, nemmeno ne conosciamo il nome perché nei condomini non si frequentano i bambini degli altri, non ci si conosce abbastanza per fidarsi e lasciarceli un momento in casa, magari per una cioccolata. Mattia e i suoi genitori sono diventati parte di noi, abbiamo patito con loro. Lo sappiamo che li dimenticheremo, siamo fatti così, ciascuno insegue i suoi guai. Eppure bisogna trattenere la lezione. A me ha colpito molto il fatto che i genitori del piccino abbiano rivelato subito: «Ha una forma grave di autismo ed è intelligentissimo». Quante cose non vediamo. Ritagliamoci almeno nella mente, dove sta la memoria delle persone care, la fotografia di Mattia, che avremmo voluto baciare ma non è stato possibile. Ci siamo attaccati ad una attesa che non ha avuto il profumo del miracolo. Sono state organizzate veglie di preghiera, fiaccolate hanno illuminato le strade sperando che il cielo se ne accorgesse. Dobbiamo buttare via tutto?


UN TOMBINO
Per una volta in questa infinità di pena, dove il male della morte ci è stato rovesciato in testa a secchiate, per favore non rovesciamo l'oro di questa esperienza in un tombino.
Non siamo uniti solo dal lamento e dal menefreghismo, ma da una comunione che attraversa i canali virtuali e usando strumenti virtuali, eterei o fragili come la carta, ha superato i confini dell'elettronica e della chiacchiera, e si è fatta commossa compagnia alla solitudine di Tiziano e Silvia, dei nonni, degli zii, dei compagni di classe, maestri e maestre. Il virtuale come modo di farsi avanti della realtà. Ehi, quelli siamo noi, ci apparteniamo reciprocamente. L'informazione, la televisione, le immagini dei sommozzatori che con delicatezza affondavano la picca nelle guazze ormai placate della Nevesa, il verde indifferente della natura che appariva dietro la cicatrice scavata dalla piena, con il rottame di macchina bianca della mamma... Una merce come le altre per catturare pubblico? Stavolta forse non è stata fruizione di uno spettacolo vacuo. Ieri mattina era uscita dall'ospedale Silvia Mereu, la mamma. Ha detto: «Senza Mattia non torno a casa». Aveva inghiottito fango, che le aveva intasato i polmoni. Si è unita subito ai soccorsi, vicino ai cani molecolari. Poi la notizia del ritrovamento. Sprofondare un milione di volte più in fondo dell'abisso, più in basso dell'inferno. Vorremmo non dirlo, ma osiamo. Aver trovato il corpo, seppellirlo, avere un luogo dove piangerlo, e però confidare che il loro (e nostro) Mattia, non stia tutto lì, in quei miserevoli e venerati resti, dia un po' di pace a Silvia e Tiziano. La loro disperazione sia attraversata da una lama di luce, quella cosa antica che è la pietas, la nostra poverissima carezza. 

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