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Covid, perché è arrivata l'ora di fare chiarezza sulla gestione della pandemia

Pietro Senaldi
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Non potranno più darle della fascista, perché da presidente del Consiglio ha preso ufficialmente le distanze dalla dittatura, «verso la quale non ho mai provato simpatie, come per nessun regime» e ha condannato le leggi razziali come «il punto più basso della storia italiana, una vergogna che ci segnerà per sempre». E allora le daranno della no vax, perché nel passaggio del suo discorso sul Covid non ha mai citato i vaccini, dichiarando che siamo usciti dalla pandemia per merito dei medici e degli operatori sanitari in prima linea negli ospedali, e non dei virologi del Comitato Tecnico Scientifico, che combattevano in tv o nel palazzo.

 

 


L'ex ministro della Salute, Roberto Speranza, ascoltava coperto dalla mascherina, era l'unico in Parlamento, l'ultimo giapponese, o cinese con licenza parlando, sconsolato e quasi nostalgico della pandemia. Non è il solo sul banco degli imputati, anche se è il simbolo di quella che secondo la Meloni, molti italiani, e i numeri, è stata una gestione «dove qualcosa non ha funzionato» per dirla con la premier, visto che abbiamo chiuso più di tutti ma siamo tra quelli che sono anche morti più di tutti.

 

La nuova capa del governo promette una commissione d'inchiesta sulla gestione dell'emergenza, e Renzi subito si associa, sapendo che il disvelamento di errori e verità non conosciute potrebbe dare un duro colpo ai grillini, al mito di Conte e al Pd, che ha cogestito la pratica. La difesa di Speranza, il cui santo in paradiso stava al Quirinale e che neppure il divino Draghi si è mai potuto permettere di contestare, era un postulato dei precedenti governi, perché criticare lui significava criticare un sistema di potere. Svergognato il ministro, sarebbe caduto giù tutto.

 

 



 

L'IMPEGNO
La speranza, beffardo gioco di parole, dei giallorossi è sempre stata che, passata la pandemia, tutto finisse a tarallucci e vino, all'italiana. La Meloni ha promesso al Paese in Parlamento che non sarà così. Un impegno perfettamente inserito nel suo discorso, dove la libertà, anche di protestare contro di lei, è stata la parola chiave. «Non replicheremo il modello restrittivo contro il Covid, non applicheremo le misure liberticide», anche se il virus dovesse ricomparire o arrivasse qualche altra epidemia, è stata la promessa del premier, che non è una no vax ma non ha potuto rinunciare a manifestare tutta la propria insofferenza per l'approccio ideologico e irrispettoso dei cittadini che hanno caratterizzato la battaglia giallorossa al virus.
Perfino il premier Draghi è rimasto vittima della propaganda di Speranza, arrivando a sostenere nella conferenza stampa di presentazione del green pass che «chi si vaccina non si contagia», quando da due mesi immunizzati con la terza dose si infettavano tranquillamente.

Quella bugia di Stato è la ragione principale per la quale la quarta dose si sta rivelando un insuccesso nonché il presupposto non scientifico sulla base del quale è stato impedito a chi no si era sottoposto all'iniezione di andare a lavorare- diritto costituzionale - pur avendo un tampone negativo. La pacificazione sociale, di cui tanto si parla, passa anche per un'operazione verità sulla pandemia, che non significa ridimensionare l'importanza che i vaccini hanno avuto nel mitigare la virulenza dell'infezione, la quale per inciso ha seguito il decorso di tutte le epidemia nella storia del mondo: partono violentissime, si mitigano nel tempo e se ne vanno nel giro di tre anni. Così aveva detto a Libero l'ex ministro della Salute, Gerolamo Sirchia, al suo tavolo di lavoro al Policlinico di Milano nel febbraio 2022. Uno che ne sa qualcosa in più del suo successore comunistoide e mascherato. 

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