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Cultura? L'obiettivo non è una nuova egemonia, ma la totale autonomia

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Corrado Ocone
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È indubbio che in Italia ci sia un potere che domina quasi incontrastato, con le sue idee e la sua visione del mondo, istituzioni quali case editrici, fondazioni, media, accademie. Un potere fatto di uomini concreti: professori, giornalisti, operatori culturali. Un potere che si è creato e sedimentato nel tempo. Come tutte le “caste” anche quella culturale è abbastanza impermeabile, cioè diffida e non tollera i nuovi intrusi soprattutto se costoro si fanno portatori di idee che si discostano da quelle accreditate dalla casta stessa. La quale funziona appunto da ente certificatore e vidimante.

Questa “casta”, in sostanza, decide chi ha libertà di accedere alla “repubblica delle lettere” e chi no. E lo fa non in base a considerazioni di meri to specifico, cioè di qualità intrinseca delle idee e dei “prodotti culturali”, ma di appartenenza o vicinanza ideale alla casta stessa. In sostanza, se è la concorrenza e la competizione fra le idee che anche in ambito culturale fa crescere e progredire le civiltà, quello a cui qui si assiste è ad una sorta di “pensiero unico”, o almeno tendenzialmente tale, per quanto articolato possa essere al proprio interno.

 

 

 

POST MARXISTI, POST MODERNI

Le idee di cui è portatrice questa casta sono quelle della sinistra? Sicuramente sì, anche se soprattutto nella sua versione post-marxista e post-moderna, diciamo politically correct, che ha sostituito negli anni la vecchia cultura marxista che ruotava attorno al Partito Comunista e ai suoi satelliti. Una cultura che però aveva in qualche modo preparato il terreno a quella attuale e di cui quest’ultima ha ereditato una cifra ben precisa: l’intolleranza e la convinzione che le proprie opinioni corrispondano sic et sempliciter con la “verità”.

DIVERSAMENTE PENSANTI

Se questa da me delineata, pur con tutte le semplificazioni del caso, è la fotografia più o meno fedele della realtà di fatto, ne consegue che un maggior pluralismo in ambito culturale è un bene non per la destra o per la sinistra ma per la cultura in sé stessa considerata. La quale viva e prospera, come abbiamo detto, solo nel pluralismo e nel confronto, anche acceso, fra opinioni e visioni del mondo. Un confronto che può svolgersi solo fra i diversamente pensanti e opinanti. Immettere elementi di pluralismo è perciò assolutamente necessario, così come favorire persone che meritano ma che sono state ingiustamente isolate in passate. Dal governo di destra, sul breve-medio periodo, ci si aspetta sicuramente questo. Ma più in generale, l’obiettivo, a cui soprattutto la destra deve essere sensibile, è quello di creare, a lunga distanza, una cultura del tutto autonoma e separata dalle idee politiche, almeno relativamente. Quella che va superata è la figura dell’intellettuale impegnato, cioè disposto a sacrificare sull’altare della prassi la stessa dottrina. È un vasto programma, certo, ma se si vuole avere l’ambizione di creare una cultura nazionale, è in questa direzione che bisogna operare. 

 

 

 

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