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Campi Flegrei, "72 ore per salvarsi": il più terrificante degli scenari

Tiziana Lapelosa
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Le scosse? Bisogna farci l’abitudine. Lo sa bene chi abita l’area dei Campi Flegrei, quella parte di Campania che abbraccia Napoli e parte dei comuni di Pozzuoli, Quarto, Giugliano in Campania, Bacoli e Monte di Procida. Di tutte le persone che vi risiedono, almeno 500mila vivono con l’ansia latente di dover raccogliere il possibile e lasciare la propria casa nel giro di 72 ore. Così, almeno, prevede il “piano di evacuazione” in caso di allerta rossa. Cioè la fine. Ora, la paura che i numerosi vulcani dell’area flegrea tornassero a farsi incandescenti si è palesata nella notte tra martedì e mercoledì, quando alle 3.35 una scossa di magnitudo 4,2 che non si avvertiva da 40 anni ha svegliato i napoletani con un tintinnìo che si è sentito fino a Roma e purea Foggia. Metaforicamente, la scossa è stata la punta dell’iceberg di «uno sciame sismico che ancora non si è concluso», avverte Mauro Antonio De Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano (il più antico osservatorio vulcanologico al mondo). Del resto, «degli 80 terremoti registrati dall’inizio dello sciame (il 26 settembre, ndr) solo nove scosse hanno superato magnitudo 2 e una superiore a 3».

PAURA FONTE:
Protezione civile, INGV «bradisismo», quel fenomeno che comporta la «deformazione del suolo», che va su e giù. E con l’aumentare del numero dei terremoti, insieme all’energia rilasciata, il processo si fa più veloce. Negli ultimi dieci anni, per dire, il suolo si è alzato di oltre un metro e viaggia intorno ai 15 millimetri al mese. «Se non ci fosse il mare, e quindi la costa», osserva l’esperto, «non se ne accorgerebbe nessuno. Per il resto, essendo il sollevamento graduale, le case si muovono insieme al E allora, perché tanta paura? Con gente in strada al Vomero e a Fuorigrotta, a Capodimonte e alla Riviera di Chiaia e in tutte le aree che s’affacciano al golfo di Pozzuoli? «Il problema», spiega De Vito, «è che queste scosse sono molto superficiali, nei primi tre chilometri di profondità, il che li rende molto avvertibili nell’area». Ecco il perché di tanto rumore. Il tutto, in ogni caso, si inserisce in quello che viene chiamato suolo». Come un ascensore. E chi ci vive non si rende conto di nulla.
 

 


CROLLI
La paura che qualcosa di grosso possa succedere, però, resta. Ma non è tanto legata ai terremoti, quanto alla fatiscenza di certi palazzi che potrebbero non reggere ai movimenti della terra un po’ più forti della scossa 4.3, che non ha causato danni a persone o cose, se non la caduta di qualche calcinaccio. E così, se da un lato anche Francesca Bianco, direttrice del dipartimento Vulcani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) rassicura, come De Vito, che l’ultimo terremoto è legato al fenomeno del bradisismo e che «al momento non ci sono variazioni per supportare l’ipotesi che ci sia un’eruzione imminente», è il vulcanologo Giuseppe De Natale (nonché ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano) ad insistere sulla necessità di una verifica «degli edifici più vulnerabili in un’area di 20 chilometri», a partire da scuole, ospedali e uffici pubblici. Per quanto riguarda quelli privati invece, è bene rivolgersi agli uffici tecnici comunali dei rispettivi comuni per chiedere una verifica e dormire tranquilli.

In ogni caso, si escludono al momento catastrofi alla “Pompei”. Del resto il Vesuvio non ha nulla a che vedere con i Campi Flegrei, uno dei luoghi più monitorati al mondo. «Durante l’eruzione del Vesuvio», dice De Vito, «ci fu una enorme quantità di magma che oggi è impensabile». Ma, siccome prevenire è bene, il “Piano nazionale di protezione civile Campi Flegrei” è pronto nel caso in cui si dovesse passare dall’allerta gialla (l’attuale) a quella arancione per finire alla rossa, il pericolo assoluto, che viene decisa di concerto tra più teste, tra cui quelle della Commissione Antirischio e della Protezione Civile con in mano le osservazioni degli esperti, dati geochimici, parametrici del fenomeno sismico... tutti elementi che insieme potrebbero far pensare ad un evento eruttivo vicino.

 

 

PARTENZA WITHUB
In questo caso, i 500mila a rischio nella zona rossa avrebbero 72 ore di tempo per “salvarsi”. Le prime 12 serviranno alle persone a preparare il necessario e alle autorità di organizzare la regolazione del traffico con percorsi prestabiliti. Le successive 48 a far partire gli abitanti in maniera cadenzata per non creare imbottigliamenti. Le ultime a gestire eventuali criticità e a far allontanare gli operatori. Per gli sfollati previsti punti di accoglienza nelle altre regioni. In caso di eruzione (che non avviene dal 1538) da lontano potranno vedere gas e brandelli di lava incandescenti, ceneri e lapilli per chilometri, cadute di materiale vulcanico. 

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