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Scuola, gli studenti e quel diritto di bigiare

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Lucia Esposito
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Niente più voti di metà anno perché il giudizio mette ansia e i nostri ragazzi non hanno spalle abbastanza larghe per sostenere la frustrazione di un voto basso. La notizia ha già diviso genitori e insegnanti. A me è venuto un solo pensiero: poveri ragazzi. Non so se sia un bene o un male togliere le valutazioni di metà anno, lo stabiliranno gli psicologi, i pedagogisti e tutti gli altri esperti. Io dico poveri ragazzi perché ogni volta che crediamo di proteggerli togliendo ostacoli dal loro cammino, eliminiamo la loro libertà di sbagliare e, quindi, di crescere. Penso ai genitori che compulsano il registro elettronico, lo consultano come fosse l’oracolo di Delfi in attesa che un voto si materializzi sullo schermo come un’apparizione mariana. Il figlio ha appena finito l’interrogazione, percorre la strada cattedra-banco, la prof non ha ancora proferito parola ma ha già digitato il voto sul pc e la mamma sa in tempo reale che l’interrogazione è andata male (accade anche che i padri siano attaccati allo schermo in apnea, in attesa del voto come davanti a un calcio di rigore ai mondiali). Il ragazzo torna a casa sperando che quella mattina i cellulari dei genitori siano finiti nel mirino di qualche hacker, ma poi loro gli si appalesano davanti con quella cera inconfondibile e capisce che non ha scampo.

Non può tenere per sé quel brutto voto e sperare di recuperare nell’interrogazione successiva. Al pomeriggio esce con gli amici e la mamma è lì che monitora i suoi passi con il cellulare che è una specie di guinzaglio virtuale. Non può deviare, sperimentare nuovi percorsi e neanche sbagliare strada perché appena fa un passo falso arriva il beep beep... la notifica di WhatsApp cui segue chiamata: «Dove stai andando?». Dico poveri ragazzi perché penso alla mia adolescenza a tutte le balle che ho raccontato ai miei genitori. Il registro all’epoca era un quadernone pieno di quadretti, un oggetto quasi sacro che le prof custodivano come il Graal e i voti stretti in quei quadratini erano misteriosi come la scomparsa dei Maya. Il brutto voto riguardava me, da sola capivo che dovevo studiare per recuperare. I miei genitori non sapevano giorno per giorno tutto quello che facevo in classe, ma venivano informati solo nel colloquio di fine quadrimestre. Al pomeriggio dietro l’uscita con l’amica del cuore si nascondevano passeggiate sul lungomare, giri in motorino e qualche tiro da una sigaretta.

 

 

C’era una parte di vita che era solo mia che adesso non ricordo, ma ricordo, invece, che avevo chiarissimo il confine tra il Bene e il Male. Mi chiedo se i ragazzi che oggi vivono dentro il Grande Fratello siano in grado di distinguere tra il bianco dal nero e se un controllo così ossessivo non sia solo un modo con cui i genitori controllano le loro ansie e paure. Dimenticavo: una volta esisteva un diritto imprescindibile di ogni studente: bigiare. Un giorno mio figlio tredicenne mi ha chiesto: «Che significa bi giare?». Già... In quel preciso momento ho capito che il registro elettronico (che usato senza una consultazione maniacale potrebbe avere anche una sua utilità) è diventato un cordone ombelicale tecnologico che impedisce ai ragazzi di crescere e ai genitori di fare quel passo indietro necessario perché i figli trovino la strada per il futuro.

 

 

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