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Israele, Minniti e la trappola di Hamas e Hezbollah: così possono trascinarci in guerra

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"Ci troviamo dentro una situazione senza precedenti dalla fine della Seconda guerra mondiale". Marco Minniti, ex ministro degli Interni negli ultimi governi di centrosinistra nonché ex presidente del Copasir, intervistato dal Quotidiano nazionale traccia uno scenario più che inquietante: "Abbiamo una guerra nel cuore dell’Europa, in Ucraina, che non è finita, anzi, e abbiamo un nuovo conflitto in Medio Oriente. Ma non c’è più nessuno che sta al volante né come istituzione né come Paese. Non c’è più qualcuno che tiene in mano il mondo: è una sensazione inedita. Ci sono grandi potenze, ma non ci sono più punti di riferimento assoluti, come sono stati gli Usa. Siamo in un mondo apolare".

La guerra dichiarata dai jihadisti palestinesi contro Israele rischia di essere solo l'innesco di un conflitto ultra-regionale. "Stiamo vivendo ore cruciali - riflette l'esponente del Pd -, Hezbollah potrebbe pensare che il preannunciato e imminente attacco di terra a Gaza, con la possibile ondata di protesta e di rabbia che attraverserà le capitali arabe e colpirà il sentiment dei musulmani (sunniti e sciiti insieme), costituisca, anche dal punto di vista simbolico ed emotivo, il momento decisivo per schierarsi anche militarmente a fianco di Hamas. Si può anche dire che in questo quadro Hezbollah punta a far sembrare di essere stata trascinata nel conflitto".

 

 

 

Una trappola su più livelli tesa sotto i piedi di Israele e di tutto l'Occidente. Minniti parla di un "giacimento di odio" su cui i fondamentalisti islamici fanno affidamento per trovare sostegno ideologico, economico e militare nel cuore dell'Europa. "E’ significativo, nel caso francese, che il ragazzo che ha ucciso il professore sia un ceceno: il primo atto post attacco, paradossalmente, viene da un ragazzo proveniente dalla Cecenia e che si è radicalizzato in seguito alla guerra della Russia contro il suo popolo".

 

 

 

Dal punto di vista strategic, "il conflitto diretto al confine del Libano preannuncia una guerra regionale, con il coinvolgimento anche delle Nazioni Unite di Unifil, con 1300 militari italiani che finirebbero dentro una situazione drammatica, ma, soprattutto, con un effetto domino che dal Libano può estendersi alla Cisgiordania e poi non sappiamo dove ci fermiamo". Il "rischio capitale" è rappresentato dal possibile coinvolgimento dell'Iran, "che aprirebbe scenari assolutamente imprevedibili, ma, al momento, non è sul tappeto anche perché non ci sono prove dirette di un coinvolgimento dell’Iran nella preparazione dell’attacco. E, del resto, non casualmente gli americani hanno smorzato queste voci perché capiscono che cosa significherebbe: un conto, insomma, è essere padrini politici di Hamas, un altro è avere partecipato concretamente all’operazione" dello scorso sabato, con l'eccidio di civili israeliani nei kibbutz e al rave party nel deserto del Negev.

 

 

 

"Israele – sottolinea Minniti – ha subito un atto di guerra con modalità tipiche del terrorismo della Jihad e di Islamic State: un orrore senza fine. Dunque, la risposta militare anche di una democrazia è giustamente legittima, ma si deve evitare che si tratti di una vendetta e il confine non è sempre facile da individuare, ma anche in guerra va mantenuto".

In questo scenario, sono tre i Paesi chiave che determineranno l'esito del conflitto: "L’Egitto, il Qatar che è il principale finanziatore di Hamas e contemporaneamente il major non-Nato Ally degli Stati Uniti, e la Turchia che naturalmente conosce molto bene Hamas e intende svolgere un ruolo simile a quello svolto per l’Ucraina".

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