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Conclave, da chi può essere eletto il successore di Papa Francesco: ombre in Vaticano

Corrado Ocone
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Impegnati a discutere del disegno di legge approvato venerdì scorso dal governo in Consiglio dei ministri, non ci siamo forse accorti di un’altra e più radicale “riforma costituzionale” che si starebbe consumando alle porte di casa nostra. A intestarsela sarebbe papa Bergoglio e riguarderebbe niente di meno che il Conclave, cioè l’assemblea dei cardinali della Chiesa cattolica chiamati ad eleggere il sommo Pontefice. Ovviamente non essendo la Chiesa una democrazia, almeno non nel senso che noi diamo usualmente alla parola, tutto starebbe avvenendo in modo sotterraneo, senza strombazzamenti e senza dibattito, persino con una non irrilevante dose (gesuitica?) di dissimulazione.

 


LE NUOVE REGOLE A lanciare l’allarme è The Remnant, un quindicinale cattolico americano molto accreditato e informato, vicino agli ambienti conservatori. Nel numero appena uscito, la rivista ha scritto che Francesco avrebbe addirittura dato un incarico a un suo uomo di fiducia, il cardinale Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Gregoriana, affinché siano riscritte radicalmente le regole che presiedono all’elezione del papa (sancite nella Universi Dominici gregis, la costituzione apostolica di Giovanni Paolo II del 1996). In particolare, verrebbero eliminate le riunioni plenarie, in modo che le discussioni avverrebbero per gruppi, ognuno guidato da un capo e quindi facilmente indirizzabili; non avrebbero diritto di voto i cardinali che hanno superato gli ottanta anni, per lo più non nominati dall’attuale pontefice; all’assemblea sarebbero aggregati un buon venticinque per cento di laici, donne comprese, nominate direttamente dal Papa in carica.
In sostanza, sarebbe l’atto finale di quella “rivoluzione sinodale” che papa Francesco si è da tempo intestata, volta a limitare drasticamente il potere della gerarchia e di quel clero che ne uscirebbe fortemente depotenziato, con tutto quel che ne potrebbe conseguire nei termini della fedeltà teologica alla dottrina.
La sala stampa vaticana ha smentito la notizia diffusa dalla rivista americana, compresi i particolari concernenti alcune riunioni “segrete” svoltesi a Santa Marta, affermando che «non risulta che essa abbia fondamento».
Ciò per molti, soprattutto gli esperti di cose vaticane, suonerebbe come una indiretta conferma della stessa. Comunque sia, mettendo un po’ in fila sia le dichiarazioni papali degli ultimi anni sia alcuni atti concreti, si può dire che la plausibilità che una tale “rivoluzione” avvenga siano davvero molto alte. Essa, d’altronde, si è già concretizzata nell’ultimo Sinodo, anch’esso svoltosi a “riflettori spenti”, in atti precisi che hanno funzionato, si potrebbe dire, come una sorta di “prova generale” di più ampie trasformazioni.

 


IL MITO DELLE ORIGINI Celiando, ma non troppo, potremmo trovarci un Luca Casarini, o un qualsiasi altro attivista no-global, e persino qualche eco-fanatico, con il potere di decidere il nome del capo della cattolicità. Insomma, un colpo mortale alla Chiesa così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi secoli. La retorica che accompagna questa “rivoluzione silenziosa” vorrebbe che in questo modo la Chiesa non faccia che ritornare alle sue origini di comunità aperta, vicina ai poveri e ai diseredati, di costumi semplici e lontana da sfarzi e lussi di ogni genere.
Facendo la tara a quanto di “mitologico” possa esserci in questa descrizione delle origini, il fatto è che quelle antiche comunità si trovavano ad operare in un contesto di forte coesione ideologica, mentre oggi viviamo in un mondo disincantato in cui i fenomeni della secolarizzazione hanno lambito pericolosamente anche la più antica delle istituzioni occidentali. Più corretto sarebbe il paragone con la Chiesa del Basso Medioevo: allora un’istituzione debole favoriva lo strapotere del Papa in carica, che in qualche modo si intestava, come sembrerebbe poter avvenire ora, la stessa nomina del successore.


ONG O AGENZIA ETICA? Ovviamente quella era una Chiesa corrotta ove il Pontefice favoriva nelle nomine i suoi clientes, o addirittura i suoi consanguinei, mentre oggi la scelta sarebbe puramente ideologica, tesa come è non solo ad affermare una particolare idea di Chiesa ma anche una particolare concezione del cattolicesimo. Potremmo definirla “populistica” nel senso classico (e sudamericano) del termine: fra un Papa-re nel vero senso della parola (quindi anche con il diritto all’ereditarietà) e un indistinto popolo non necessariamente vicino ai dogmi (un po’ come chi vota alle primarie del Pd) non ci sarebbero mediazioni e corpi intermedi. E la Chiesa, da istituzione volta al costante richiamo al senso del sacro e del mistero che avvolge le nostre vite, si trasformerebbe in una sorta di Ong o “agenzia etica” al servizio degli “sfruttati” (con una lettura che, se non è propriamente quella marxista, come ha teso a sottolineare recentemente il Papa, molto le si avvicina). Una declinazione della religione che non è la nostra, ma che ha pieno diritto di esprimersi in un contesto pluralistico ove le diverse sensibilità possano convivere pacificamente all’insegna dei comuni valori e della comune fede. Una “casa comune” che la Chiesa dei Martini e dei Ratzinger, dei Bergoglio e dei Woytila, ha finora garantito. Ma che sarebbe fortemente minacciata da norme che sembrano calibrate proprio per permettere a Bergoglio, che è certo un Papa di convinzioni forti e risolute, di scegliersi un successore-fotocopia.

 

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