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Pordenone, a 10 anni in classe col velo integrale: insorge la Lega

Claudia Osmetti
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Non ci sta, la Lega del Friuli Venezia Giulia. Lo trova «inaccettabile», è pronta a portare il caso in Senato, vuole farsi portabandiera di una proposta per vietare il velo integrale nelle scuole e nei luoghi pubblici. Il “caso” (che per la verità lo è solo a metà, nel senso che sì, si è risolto subito con una dose di buonsenso, ma no, non è finita lì perché ha anche riaperto la discussione sul tema) è quello di una bambina di Pordenone. Una bambina musulmana, di una famiglia che ha origini africane, che un giorno si è presentata in classe col volto coperto dal niqab.  Il niqab è quel velo islamico integrale più simile al burqa che allo chador o all’hijab: ha una piccola fessurina all’altezza degli occhi, basta. Per il resto copre tutto, dai capelli alle guance, zigomi e labbra. È che la maestra (siamo in una quarta elementare, la ragazzina ha appena dieci anni), appena l’ha vista, ha chiesto di parlare coi genitori: perché, insomma, in una scuola italiana, a quell’età che si è ancora così piccini, coi compagni di banco che vaglielo a spiegare, che è cultura, tradizione, religione. Quello che vuoi. E a quei genitori che probabilmente manco ci avevano pensato, la maestra di Pordenone ha chiesto che, il dì successivo, la bambina almeno andasse a lezione col volto scoperto. Cosa che è effettivamente avvenuta, l’indomani lei s’è presentata ai cancelli senza la parte superiore del niqab, col faccino in bella evidenza. Tutto bene, quindi. Nessuna segnalazione ufficiale in direzione, nessuna lamentela scolastica.

È  dopo, semmai, che è scoppiata la polemica. Che è un po’ quella di sempre, dato che la questione non è mai stata seriamente affrontata (o normata o regolamentata). Il segretario regionale della Lega del Friuli Venezia Giulia Marco Dreosto, che è anche senatore per il Carroccio, è intervenuto dicendo che «obbligare una bambina di dieci anni ad andare a scuola con l’intero volto coperto, tranne gli occhi, contravviene alle più basilari regole del vivere comune, dei diritti fondamentali dei bambini e dell’identità femminile». È vero. Come è vero che ce l’abbiamo scritto tante volte e vale anche per questa vicenda: non è tanto il velo in sé, è la sua imposizione che, in una società libera e civile, è intollerabile. E che una bimba così piccola, in un’età così infantile, possa aver scelto autonomamente di metterselo, è quantomeno difficile da immaginare. «Una cosa è la libertà religiosa, un’altra è il fondamentalismo religioso», ha continuato Dreosto, «imposto su bambine innocenti». Per questo il leghista ha chiarito che «penso sia arrivato il momento nel quale anche l’Italia prenda delle iniziative per vietare il niqab a scuola e nei luoghi pubblici, per il rispetto dei diritti delle donne e per la sicurezza pubblica. Francia e Belgio l’hanno già fatto (il concetto di laicità francese, in verità, è più ampio e vieta qualsiasi simbolo religioso nelle aule scolastiche, ndr), l’Egitto, che è un Paese musulmano, ne ha vietato l’uso a scuola. Presenterò un’iniziativa in parlamento in questo senso il prima possibile», ha concluso.

 


La comunità islamica di Pordenone ha risposto parlando di «un malinteso» e di una «situazione risolta in pochi minuti con la saggezza della stessa maestra. La nostra religione ci rammenta che quel tipo di copricapo va indossato quando si è più grandi, forse c’è stato un errore di interpretazione da parte dei genitori». Episodio chiuso, insomma, almeno in Friuli Venezia Giulia (dove però anche il vicesindaco di Pordenone, Alberto Parigi, con pure la delega all’Istruzione, ha annunciato «accertamenti» e aggiunto: «Bene ha fatto la maestra a intervenire, voglio sperare che siamo tutti d’accordo sul fatto che nelle nostre scuole non si deve entrare velati, compresi coloro che invocano ogni giorno la laicità e l’emancipazione femminile»). Resta il fatto che l’argomento non si esaursce di certo qui.

 

 

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