È sicuramente capitato a tutti voi - qualunque sia la professione - di avere un collega non particolarmente profumato e un po’ puzzolente. Anzi, proprio fetido. Uno di quelli il cui tanfo preannuncia il suo arrivo e poi resta nell’aria anche dopo la partenza; uno di quelli che, soprattutto ora che fa caldo, tende a creare il vuoto attorno a sè infestando stanze, ascensori, bagni; uno di quelli allergici alla doccia e al sapone che, anziché lavarsi, pensa di annullare l’odore coprendolo con litri di profumo, e così crea un lezzo nauseabondo. Da incubo. Succede ovunque (purtroppo) e se non vi è mai capitato forse è ancora peggio: il maleodorante potreste essere voi e nessuno ve lo ha detto.
La fastidiosa situazione, di solito, produce tensioni, disagi, contrasti e dubbi amletici: il puzzone va affrontato direttamente con il rischio di ferirlo? Oppure bisogna cercare di fargli capire il problema con un giro di parole? O, ancora, è meglio rivolgersi direttamente all’azienda chiedendo che sia lei a intervenire? A Mestre, nel Palazzo della Provincia di Venezia, hanno optato per quest’ultima opzione. E le lamentele - non poche, almeno una decina - sono arrivate direttamente a Nicola Torricella, direttore del dipartimento. Il quale, lo scorso 5 giugno, ha inviato una circolare ai dipendenti chiedendo loro di lavarsi di più perché il cattivo odore, in quegli uffici, non è più tollerato.
PAGANO PER LAVARSI
Il titolo del documento è un generico «Utilizzo spogliatoi e tenuta personale» e cerca di prendere la questione alla larga e con classe, ma il testo poi non fa tanti giri di parole e invita a una «costante» pulizia personale di «tutti i dipendenti, visto il crescente numero di segnalazioni, all’igiene personale, fin dall’inizio dell’attività lavorativa». E questo «al fine di evitare che l’ambiente condiviso con gli altri colleghi sia alterato con odori non gradevoli».
Non solo. Tanto per far capire che la questione è seria - e per invogliare all’azione i più pigri - la Città metropolitana ha predisposto, al piano interrato della sede di Mestre, uno spogliatoio «con l’obiettivo di fornire ai dipendenti la possibilità di rinfrescarsi, quando ne abbiano bisogno, con particolare riguardo a coloro che rientrano da cantieri o altre situazioni similari». Precisando, se qualcuno avesse dei dubbi, che il tempo necessario alle operazioni di pulizia «non costituisce pausa lavorativa». Insomma, ti pagano per lavarti.
Quello dei cattivi odori negli ambienti di lavoro è un guaio difficile da gestire per i colleghi, ma anche per le aziende. Le quali ad un certo punto devono intervenire e decidere cosa fare. «Quando emerge il problema di un lavoratore che emana cattivi odori, il datore di lavoro deve seguire una serie di passaggi per affrontare la situazione in modo corretto e rispettoso - spiega sul suo sito internet Roberto Amati, avvocato del Lavoro -. Le misure correttive variano in base alla gravità del problema e alle normative interne dell’azienda. Il primo passo solitamente consiste in un colloquio informale con il lavoratore. Durante questo incontro, il datore di lavoro o un responsabile delle risorse umane comunica al dipendente il problema riscontrato, cercando di farlo in modo discreto e rispettoso. L’obiettivo è sensibilizzare il lavoratore sull’importanza dell’igiene personale, cercando di trovare una soluzione comune. In molti casi, questo approccio è sufficiente a risolvere il problema». Quando non basta, però, si deve passare alle vie formali: «Il datore di lavoro può procedere con un avvertimento formale. Questo viene solitamente documentato e inserito nel fascicolo personale del dipendente. Un avvertimento formale rappresenta un passo più deciso verso l’applicazione di sanzioni disciplinari nel caso in cui il comportamento non cambi». Già, si passa alle maniere forti.
LICENZIAMENTO
«Nel caso in cui né il colloquio informale né l’avvertimento formale portino a risultati concreti, l’azienda può applicare misure più severe, come la sospensione temporanea del dipendente. Questa misura viene adottata quando il problema diventa un ostacolo per il normale svolgimento delle attività lavorative, o quando si riscontrano rischi igienici per l’ambiente di lavoro». Ma se anche tutto questo non produce risultati, all’azienda non resta che una mossa: il licenziamento per giusta causa. «In casi estremi - viene spiegato ancora dall’avvocato Amati - , il datore di lavoro può decidere di procedere con il licenziamento del lavoratore. Il licenziamento per giusta causa avviene quando il comportamento del dipendente, nonostante ripetuti avvertimenti e misure correttive, continua a compromettere l’ambiente di lavoro».