Daniel Oren "è ebreo. Deve dirlo": l'ultima folle deriva

di Claudia Osmettigiovedì 24 luglio 2025
Daniel Oren "è ebreo. Deve dirlo": l'ultima folle deriva
4' di lettura

Qui la situazione ci sta sfuggendo di mano, ma in un modo un tantinello diverso da quello che potrebbe sembrare. Va bene la polemica, va bene che tutto è politica, va bene pure che siamo in estate e il caldo dà alla testa: però, forse, converrebbe fare tutti un bel respiro e tornare a ragionare un po’. Sennò non ne usciamo più.

Dopo il “caso Gergiev”, alla Reggia di Caserta rischia di scoppiare pure l’“affaire Oren”. L’unica cosa certa è che le bacchettate, oramai, ce le diamo da soli. Daniel Oren è un bravissimo e apprezzatissimo e stimatissimo direttore d’orchestra. Ha iniziato collaborando con un mostro sacro come Herbert von Karajan (giusto per sottolineare da che scuola viene) e sono vent’anni che fa il direttore artistico della stagione lirica al teatro Verdi di Salerno. La mastica, l’opera, Oren: infatti basta vederlo sul podio, fermo non riesce a stare ed è espressivo come la musica che conduce. È anche israeliano. Fine della biografia perché oggi va così.

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Va, cioè, che, «un po’ per celia e un po’ per non morire» (cit. Madama Butterfly, per esempio quella che ha diretto lui nel 2023 all’Arena di Verona), qualcuno si domanda se non sia il caso di fargli fare un passo indietro. Anzi, a margine rispetto al golfo mistico. Lontano dai riflettori. Fino a venerdì Oren dirigerà l’orchestra e il coro del teatro salernitano ne La Traviata di Verdi alla Reggia di Caserta. Sì, la rassegna è proprio quella là: Un’estate da re, quella promossa e sponsorizzata dalla Regione Campania, quella del putiferio per cui da una settimana non parliamo d’altro (di certo non di spartiti ed esecuzioni artistiche), quella che ha già fatto retromarcia col collega russo Valery Gergiev. «È giunto il momento in cui Oren si deve esporre, si pronunci pubblicamente su Netanyahu, ci dica apertamente se è suo amico oppure no e se è contro l’eccidio dei bambini di Gaza». A puntare il dito (lui sostiene sia «una provocazione») è Antonio Cammarota, ossia un consigliere comunale che siede tra le file dell’opposizione nel municipio di Salerno: «La cultura non va usata come arma politica», continua, «però non si possono fare due pesi e due misure».

Pungolo o meno (Cammarota è uno di quelli del “genocidio” dei palestinesi: il termine «l’ho pronunciato io un anno e mezzo fa, ora vedo che lo usa anche il governatore De Luca e la cosa mi fa piacere»), il discorso, adesso, si sposta su due piani diversi. Il primo è quello pratico: che Gergiev frequenti personalmente Vladimir Putin e sia un suo sostenitore è un dato di fatto (è stata Yulia Navalnaya, la vedova di Alexei Navalny, a smascherarlo per prima e non è un gran mistero coperto dalle veline della Pravda); Oren, invece, nel dirigere un’Aida a Verona, giusto un mesetto fa, ha dichiarato (c’è ancora tanto di video sulla stampa locale disponibile in rete): «Prego ogni giorno attraverso la musica per la pace, ma credo che i politici non abbiano questa sensibilità». Parole che non sembrano estrapolate da un discorso alla Knesset di Smotrich odi Ben-Gvir, per fugare ogni dubbio. Che i due direttori siano persone diverse, con idee e impostazioni differenti (nella buca d’orchestra e anche altrove) lo vede persino un bambino.

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Il secondo piano del ragionamento è quello della sostanza: ora, però, anche basta. Non possiamo continuare su questa strada, che è quella della richiesta del patentino di anti-quelchecapita (adesso è anti-Bibi, domani sarà anti-Trump, poi vai a sapere a chi tocca) per riempire i palchi e i musei che abbiamo, altrimenti li lasciamo vuoti e amen. Cosa facciamo? Ci mettiamo in aeroporto, vicino al poliziotto del controllo passaporti e, quando qualcuno ci allunga il visto per venire a esibirsi da noi, gli domandiamo un mea culpa preventivo? Chiediamo a Lady Gaga, che sarà a Milano a ottobre, di dissociarsi dalla politica Usa sui dazi in Europa altrimenti le stacchiamo il microfono durante il concerto? Esigiamo dal terzino turco della Roma Zeki Celik che condanni tre quarti delle dichiarazioni di Erdogan (che non è esattamente uno stinco di santo) sennò gli buchiamo il pallone? Obblighiamo lo scultore cinese Cai Wanlin a fare atto di contrizione sulle scelte del governo di Pechino (magari per quanto riguarda le condizioni degli uiguri, di cui non frega nulla a nessuno) pena la chiusura di ogni galleria disponibile da Trieste in giù? Dài, su. Diventerebbe una (triste) barzelletta. Ché a fare i puri eccetera eccetera (Pietro Nenni ci aveva visto lungo). Oren fa il direttore d’orchestra, mica il comandante delle Idf. Conosce l’Addio del passato, non il piano di aiuti della Ghf.

«Questi sono tempi orribili», dice, tra l’altro, «spero che in qualche modo tutti questi conflitti si risolvano perché io non ho mai vissuto un periodo così». Sul Medioriente ognuno la pensa come vuole (noi, a Libero, scriviamo quotidianamente come la vediamo): ma che c’entra Oren con Gaza (a parte il fatto che è ebreo, però con ciò)? Anche perché se il metro di giudizio è solo quello della nazionalità o del Paese di nascita, campacavallo. Entriamo in un gioco dell’oca che si attorciglia su se stesso e non finisce più.

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