Libero logo

Flotilla, ecco il conto: all'Italia costa 300mila euro al giorno

di Antonio Castrovenerdì 26 settembre 2025
Flotilla, ecco il conto: all'Italia costa 300mila euro al giorno

(Ansa)

4' di lettura

Centomila, duecentomila, trecentomila al giorno. Brutale forse ma mettere in colonna i costi delle operazioni vanno spalmate su base annua. Nel 2024 l’Operazione Mediterraneo Sicuro è messa a bilancio per 132,2 milioni di euro. Nel 2023 erano stati 104,6 milioni. Una crescita evidente data dall’aumentare delle tensioni non solo sulla fascia meridionale ma anche sul fronte orientale.

In mare i conti sui costi economici per salvare una sola vita non si fanno. Mai. «Qualsiasi vita è sacra», ribattono i vecchi marinai - indipendentemente dal grado che hanno sulle mostrine - che ascoltano con un certo fastidio le domande “bizzarre” dei giornalisti: quanto può costare dislocare una fregata di classe Freem per dare copertura («tutelare», puntualizza il ministro della Difesa Guido Crosetto) alla missione della Flotilla? Se ci si basa sul semplice calcolo matematico il pattugliamento navale e aereo del Mediterraneo costa ogni giorno circa 300mila euro. Poi esistono costi fissi: personale, manutenzione ordinaria, costi degli approvvigionamenti e del rinnovo delle attrezzature militari. Ovvio che un calcolo “a giornata” lascia il tempo che trova. Tanto più che navigando nelle acque presidiate dalle nostre forze armate le barche della Flotilla ricadono già nello specchio di competenza e protezione.

La fregata classe Freem “Alpino” è in navigazione per sostituire l’unità gemella “Fasan”, che tornerà a svolgere il ruolo previsto. L’unità- specializzata nel contrasto ai velivoli a guida remota- è stata schierata nel contesto dell’Operazione Mediterraneo Sicuro. L’obiettivo (già dal 12 marzo 2015), è di assicurare lo schieramento di un «dispositivo aeronavale con la missione di svolgere in applicazione della legislazione nazionale ed accordi internazionali vigenti, attività di presenza, sorveglianza e sicurezza marittima nel mediterraneo centrale, al fine di assicurare la tutela degli interessi nazionali».

A puntare il dito sui costi è il capogruppo di FI in Senato, Maurizio Gasparri, intervenendo a Palazzo Madama sull’evoluzione della situazione sul fronte orientale europeo. «Il ministro Crosetto», ha scandito Gasparri, «ha detto che sono state mandate delle navi militari italiane, ma sapete quanto costa mandare quelle navi? Avremmo potuto spendere quei soldi per darli ai bambini palestinesi. Quando le navi difendono i confini d’Italia vi fanno schifo, quando accompagnano la Flotilla invece fanno bene, ma costano allo stesso modo quelle navi militari».

È proprio questo il punto: comunque sia, il costo d’esercizio delle unità della Marina Militare (così come quelle dell’Aeronautica, dell’Esercito o dei Carabinieri) prevede un esborso «a prescindere». Si può rintracciare scorrendo le tabelle che periodicamente le forze armate inviano al ministero dell’Economia (che autorizza le spese) e alle autorità di controllo (Ragioneria generale e Corte dei Conti). Spostare unità di questa portata comporta costi rilevanti. Ma difficilmente comprimibili. Come ai tempi della Libra, il pattugliatore della Marina militare, che tra i compiti ha la sorveglianza delle coste, il contrasto delle attività di contrabbando o il traffico di droga fino alle operazioni di soccorso. C’è da vedere quale compito verrà affidato alla fregata Alpino. Al momento, precisa Crosetto, «non è nostra intenzione muovere le nostre navi per muovere guerra a un Paese amico», spiega Crosetto riferendosi alla sovranità di Israele. «Siamo lì a tutelare i cittadini italiani come quando ci sono situazioni di pericolo nel mar libico. È lo stesso meccanismo di tutela che parte sempre». Parlando al Senato Crosetto non rinuncia ad interrogarsi sulla necessità di un’operazione così rischiosa come quella intrapresa dalla Flotilla.

«È necessario mettere a repentaglio la vita di cittadini italiani per far giungere gli aiuti a Gaza», si domanda. Spiegando per l’ennesima volta che l’Italia ha i mezzi e i “canali diplomatici” per recapitare più velocemente e senza rischi gli aiuti alla popolazione della striscia di Gaza. «Siamo in grado ancora oggi di far giungere in poche ore tutti gli aiuti che la Flotilla sta portando», ribatte. La preoccupazione più grande manifestata da Crosetto è quella relativa alla difesa delle imbarcazioni della Flotilla una volta fuori dalle acque internazionali. «Il clima è preoccupante», ammette, puntualizzando che «noi non siamo in grado, una volta usciti dalle acque internazionali, ed entrati in quelle di un altro Stato, di garantire sicurezza. Né noi, né nessun altro Paese al mondo».

Il blocco va avanti dal 2009: nessuna imbarcazione, non autorizzata dalla marina militare israeliana (Idf), può approdare nei porti di Gaza o entrare nelle acque territoriali, a 12 miglia nautiche dalla costa (22 chilometri). L’approdo marino verso la striscia di Gaza era già supervisionato e limitato anche prima del 2009. Dallo scorso 7 ottobre 2023, dall’attacco di Hamas in Israele, è vietata ogni navigazione, anche quella dei pochi pescherecci rimasti in attività a Gaza. Il timore - come già accaduto - è il traffico di armi, esplosivi e merce di contrabbando che alimenta le casse dell’organizzazione terroristica. Blocco navale che Israele reputa legittimo. Nel 2011 una commissione dell’Onu lo ritenne «legittimo». Parere che è stato ripetutamente contestato ma rispettato fin a ora dagli Stati. Gli attivisti lo contestano: portare aiuti umanitari non è una violazione del blocco.