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Sigfrido Ranucci, Marco Damilano-choc: evoca un golpe

Singolare il fatto che i giornalisti che danno lezione sui discorsi d’odio si prodighino poi per creare connessioni tra la destra al governo e l’attentato al conduttore di Report
di Annalisa Terranovalunedì 20 ottobre 2025
Sigfrido Ranucci, Marco Damilano-choc: evoca un golpe

3' di lettura

È alquanto singolare il fatto che i giornalisti che danno lezione sui discorsi d’odio si prodighino poi per creare connessioni tra la destra al governo e l’attentato subìto da Sigfrido Ranucci. È ancora più singolare il fatto che tali infamanti allusioni costituiscano poi il canovaccio della sciatta propaganda di Elly Schlein sull’”estrema destra” al governo (estrema?) che minaccerebbe in Italia le libertà democratiche. Poi c’è chi va oltre: è il caso di un articolo di Marco Damilano sul quotidiano Domani. A lui l’attentato a Ranucci fa venire in mente il golpe Borghese del 1970 il quale voleva mandare i suoi armigeri alla Rai per lanciare da lì il proclama golpista. Ora, a prescindere da ciò che effettivamente rappresentò l’operazione Tora Tora (un golpe pasticciato secondo alcuni storici o un grave tentativo insurrezionale secondo altri) il paragone fatto da Marco Damilano colpisce perché rispolvera le “trame nere” che infiammarono gli anni Settanta e conferiscono un colore politico a quanto avvenuto sotto casa del conduttore di Report. E ciò prescindendo dalle indagini e dalle stesse parole di Ranucci che ha indicato varie possibilità da approfondire per venire a capo delle responsabilità dell’attentato.

Sarebbe invece più onesto intellettualmente riconoscere la verità di quanto affermato da Alessandro Campi alcune sere fa nel corso del programma Lineanotte e cioè che è del tutto arbitrario contrapporre il potere politico al giornalismo come se fossero due universi distinti, torbido il primo e adamantino il secondo. «Il giornalismo di inchiesta se fatto bene diventa un contropotere – ha detto Campi – il problema è il condizionamento dei giornalisti attraverso la querela, un sistema tipicamente italiano. Il politico considera il giornalista una controparte, un oppositore politico e ciò accade perché il giornalismo italiano è stato spesso incistato col mondo politico, è un giornalismo partigiano, ciò contribuisce al clima che si è creato. I politici vanno controllati nelle loro azioni da chi nel campo dell’informazione si muove in una indipendenza assoluta».

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Ma così non è. I giornalisti che creano un link tra destra al governo e attentato a Ranucci non fanno informazione indipendente, fanno politica. E offrono alla leader della sinistra il copione da recitare per strumentalizzare al massimo un episodio sui cui mandanti e esecutori non sappiamo nulla. Tanto più che tutta l’operazione si inserisce in un clima avvelenato e di grande tensione, dove ci sono giornalisti (quelli del Sole 24 Ore) che scioperano perché viene pubblicata una intervista a Giorgia Meloni fatta da una collaboratrice esterna (Maria Latella) scavalcando le “professionalità interne”. Uno sciopero politico dal sapore anti-Meloni che verrà spacciato come difesa del giornalismo “libero”. Le riflessioni di Campi non avranno fortuna (e infatti sono state subito attaccate in studio da Ilaria Sotis, per la quale non esistono giornalisti “partigiani” in Rai) perché in un clima di conformismo stantìo i cronisti del fronte anti-Meloni si sono passata voce: l’attentato a Ranucci va inserito nel contesto delle “trame nere” e così è partita la gara a chi la spara più grossa.

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La manovra comunicativa prende corpo nel tardo pomeriggio di venerdì e lo spiega molto bene Filippo Facci: Ranucci – ha scritto sul Giornale – «nel tentativo di spiegare il movente ha elencato le prossime inchieste di Report da cui potrebbe derivare l’attentato: cultura, scuola, eolico, banche, sanità. Poi nel tardo pomeriggio ha aggiunto “Piersanti Mattarella, Moro, la destra eversiva” mentre Repubblica aggiungeva le bande albanesi e gli ultrà». Dopo di che gli “eskimi in redazione” hanno cominciato il loro lavoro. Sotto traccia, senza mai essere espliciti (anche Damilano non lo è stato ma gli è venuto in mente il golpe Borghese, guarda caso...). A mettere in chiaro tutta l’operazione, con la consueta iperbolica goffaggine, ci ha pensato Elly Schlein.

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