Eccoli di nuovo, i boschi d’Abruzzo trasformati in ring nazionale, con la politica che sguaina le lame sul destino dei tre bambini di Palmoli a cui i giudici dell’Aquila hanno imposto la separazione forzata dai genitori. Una battaglia a colpi di dichiarazioni, firme, interrogazioni e stoccate incrociate. Il primo ad affondare il colpo è Matteo Salvini: «I bambini strappati alla famiglia in Abruzzo», spiega, «secondo l’assistente sociale e qualche giudice, potrebbero correre dei pericoli o addirittura crescere con del disagio psichico». Però, aggiunge il leader della Lega, su «maranza, baby gang, teppisti, scippatori, molestatori, l’assistente sociale o il giudice non li abbiamo visti». Difficile dargli torto. Ma questo è solo una parte del suo ragionamento, che chiude così: «Quindi conto che la giustizia sia veloce, laddove serve intervenire, dove c’è veramente violenza, disagio e pericolo e conto che, a brevissimo, quei bambini possano tornare nella loro casa».
La Lega ha trasformato il caso in mobilitazione territoriale e identitaria: banchetti, gazebo, raccolta firme. Lo annuncia il coordinatore dell’Abruzzo, Vincenzo D’Incecco, che definisce tutto «una battaglia di giustizia e di libertà», promettendo che «ci impegneremo per vedere nuovamente unita questa famiglia». Non basta: per il fine settimana è atteso lo stesso Salvini per dare ulteriore forza all’iniziativa popolare. E i rinforzi arrivano anche dall’Ue. L’eurodeputata leghista Susanna Ceccardi ha firmato infatti un’interrogazione urgente a Bruxelles: «Ho chiesto di verificare se la decisione della magistratura italiana possa configurare una violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea». Poi la chiosa: «L’allontanamento dei minori, infatti, deve essere davvero l’ultima ratio e sempre fondato su prove solide e verificabili: qui invece», sottolinea, «abbiamo una famiglia che ha scelto uno stile di vita semplice e a contatto con la natura, certamente non convenzionale ma che non dovrebbe essere trattato come pericoloso di per sé».
Famiglia nel bosco, "obbligo scolare rispettato": la bomba del ministero
Il caso della cosiddetta “famiglia nel bosco” di Palmoli si arricchisce di un ulteriore, dirompente, capitol...Il fronte opposto non resta a guardare. Elisabetta Piccolotti, deputata di Avs, entra nel dibattito schierandosi al fianco delle toghe: «Non mi piace la superficialità con cui si parla dei “bambini del bosco”. E lo dico da persona convinta che la soluzione non sia portarli via dalla famiglia, ma creare le condizioni perché possano tornare dai loro genitori con un diritto fondamentale garantito: andare a scuola, avere amici, vivere nel mondo». La Piccolotti si dice «spaventata». «Mi spaventa», prosegue, «che, nel dibattito pubblico, quasi nessuno si chieda quali conseguenze avrà, su quei bambini, una vita senza socialità, senza confronto, senza strumenti». Ma il bersaglio, poi, diventa – guarda caso – Salvini. La deputata di sinistra lo accusa di aver colto «l’occasione per demonizzare i giudici in vista del referendum sulla giustizia», sostenendo che «tutto serve per alimentare l’idea che i magistrati siano “mostri”. E intanto, i bambini restano lì. Trattati come oggetti anche dalla politica, dai media, dall’opinione pubblica.
Se è il segno dei tempi, allora questi sono tempi davvero bui».
A smentire la sua apocalittica narrazione è però una precisazione del ministero dell’Istruzione che spiega che «risulta regolarmente espletato l’obbligo scolastico (dei bambini, ndr) attraverso l’educazione domiciliare legittimata dalla Costituzione e dalle leggi vigenti e tramite l’appoggio ad una scuola autorizzata». La «conferma», prosegue la nota del Dicastero, «è arrivata dal dirigente scolastico dell’istituto scolastico di riferimento per il tramite dell’ufficio scolastico regionale». Nel mezzo di questa contrapposizione, il sindaco di Palmoli prova a fornire dettagli spesso dimenticati: «Il Comune è pronto a collaborare con i giudici e le assistenti sociali per sostenere la famiglia nel bosco», esordisce. «Quel casolare dove oggi vivono, era abitato in precedenza da una coppia di anziani palmolesi ed aveva tutte le utenze». La coppia anglo-australiana, però, «ha scelto uno stile di vita più estremo rispetto ad altre famiglie. Abbiamo cercato di aiutarli da subito ed oggi rinnoviamo la disponibilità».
È l’unico passaggio che introduce un dato concreto: quel casolare non è un eremo improvvisato, non è un tronco cavo né un rifugio posticcio. È una scelta, più radicale del solito, ma dentro un contesto dove altri nuclei – i cosiddetti neo-rurali – hanno già adottato modelli simili. E dove tre bambini oggi vivono vite sospese, isolate e schiacciate fra le carte dei tribunali e l’amore dei genitori (tenuti a distanza di sicurezza) che non riscalda più.




