Libero logo
OPINIONE

Famiglia nel bosco, prepariamoci ad andare tutti al manicomio

di Mario Sechimercoledì 24 dicembre 2025
Famiglia nel bosco, prepariamoci ad andare tutti al manicomio

4' di lettura

Chi ha paura della famiglia nel bosco? A chi hanno fatto del male quel padre, quella madre, quei bambini? La loro esistenza è un pericolo per qualcuno? Siamo di fronte a un soggetto pulsante, inerme, che sognava una vita in comunione con la natura e ora si ritrova scaraventato al centro di una tempesta organizzata da squadroni di magistrati, psicologi, esperti di varie discipline a cui manca il dono dell’umana comprensione e la grazia dell’amore.

La famiglia, il bosco, l’infanzia, sono diventati gli elementi di un problema trattato come un piano eversivo, una ribellione che va spezzata, un’utopia che va schiacciata. Il tribunale ha deciso che servono altri esami, pareri, osservazioni, monitoraggi, indagini psicologiche, vediamo se sono sani di mente. E allora così sia, prepariamo tutti per il manicomio, vostro onore, perché nessuno tra noi è «sano», siamo tutti colmi di paure, delusioni, dolori, lutti, gioie, infinite passioni, coltiviamo sogni, molti restano nel cassetto. Quando ero bambino, passando sulla via del paese, rientrando a casa, incontravo un pittore che esponeva i quadri fuori dalla sua abitazione, a Cabras, stava seduto su uno scannetto sardo con il fondo impagliato a mano, molti pensavano che fosse uno svitato, non ho mai dimenticato i suoi occhi che emanavano gentilezza, era un eccezionale artista, Giuseppe Ventimiglia.

Non è il tempo del Natale, ma il calendario dell’indagine; non è il momento della festa, ma la stesura del verbale; non è la solennità della preghiera, ma l’incalzare dell’interrogatorio. Tutti in piedi, entra la Corte, verifichiamo la quota di pazzia di ogni sognatore. La famiglia è uscita dal bosco per entrare in catene nel girone infernale del pedagogismo militante, del formalismo giuridico senza pathos, della procedura asettica e della forma astratta. Tutto questo è chiarissimo, cristallino nella sua crudele applicazione, l’esito è un destino senza cuore.
Non tutto è perduto, ci sono tanti italiani che hanno capito dove sta l’errore, l’idea pazza di raddrizzare il legno storto dell’umanità (leggere Isaiah Berlin, vostro onore) e di dirottare l’infanzia spegnendo l’estasi, fino a strappare la carne dalla carne. Non tutto è perduto, ho ricevuto in queste settimane tanti messaggi, tra questi ci sono i pensieri sdegnati di persone che sono state (e sono) protagoniste della storia italiana, uomini e donne che hanno lasciato un segno e non hanno dimenticato il sogno. Tutti mi hanno ricordato la loro infanzia, le esperienze di una quotidianità senza agi, senza consumi, senza happening, senza brunch, senza check-in, senza resort, senza vacanze. Una pienissima vita-senza che questa giustizia non riconosce per ignoranza totalitaria. Ci sono persone cresciute in campagna e in città, nella povertà dei mezzi economici e nella ricchezza della passione umana.

Ognuno di noi può sfogliare l’album della memoria e trovare la sua famiglia nel bosco. Anche nella selva metropolitana. Andate indietro nel tempo, troverete biografie eccezionali forgiate dalla fatica, messe a dura prova dal destino, inseguite dalla povertà, scaraventate in un angolo buio dalla storia. Dal tempo remoto fino al presente. Tra loro, vi sono i figli degli ultimi, quelli con il padre e la madre con la schiena curva e le mani segnate dalla zappa, dal remo, dal martello, dalla falce. Tra loro, c’è chi non ha mai avuto la fortuna di seguire le lezioni di una maestra amatissima e mai dimenticata, di ascoltare un professore che è diventato la tua bussola, ma nel percorso accidentato della vita ha imparato la grande lezione dell’università della strada, trovando la sua via, sbagliando, cadendo, rialzandosi. Tra loro, ci sono eroi borghesi che hanno teso la mano e aiutato gli ultimi. Non tribunali, ma uomini e donne di buona volontà.

Famiglia nel Bosco, "perizia psichiatrica": l'ultima bomba sui genitori

Il caso della famiglia che viveva nel bosco a Palmoli, in provincia di Chieti, continua a destare attenzione. Il Tribuna...

I figli non sono dello Stato, le istituzioni non allattano, i parlamenti non abbracciano, il primo incontro con l’immensità dell’universo non è con un giudice, ma con gli occhi della mamma che ti ha dato la vita, uno sguardo che non finisce mai, attraversa lo spazio e il tempo. La magistratura non ha un codice per definire la contemplazione, non ha un comma per sentenziare sullo stupore. Scrive Elémire Zolla nel suo meraviglioso libro Che cos’è la tradizione, edito da Adelphi: «La santità è la restaurazione delle origini; un tempo ci si dilettava di dipingere Elia con il suo corvo, San Gerolamo col leone, San Francesco dinanzi agli uccelli o al lupo, Sant’Antonio che parla ai pesci». Nell’ottavo centenario del Cantico delle Creature, scacciamo l’idea della famiglia nel bosco. È questa dimensione del sacro che è stata cancellata, insieme a quella del gioco (avete mai fatto caso all’assenza di bambini che giocano per strada?), eppure tutta l’arte dello straordinario paesaggio italiano è un invito alla contemplazione, alla ricerca dello «stato primordiale», un invito perenne alla fuga, al ritorno a casa. Nel nostro tempo che scartavetra la fantasia per sostituirla con i tribunali, non c’è Natale, non c’è Epifania, non c’è Pasqua, non c’è stupore, non c’è scelta e non può esserci una famiglia nel bosco.

Famiglia nel bosco, "solo qualche ora": il dramma del padre a Natale

Nessuna riunione per la famiglia nel bosco per Natale. I tre bambini di Palmoli trascorreranno le festività nella...