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Milano, una valigia racconta la fuffa sulla sicurezza

Franco Bechis
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Una valigia. Abbastanza grande. Visibilissima con il suo colore lilla acceso e il manico alzato. Lì in mezzo alla piazza del Duomo di Milano. Sembra abbandonata sotto il sole del Mezzogiorno. Intorno zampettano i piccioni in attesa di qualche turista con briciole di pane. E' proprio al centro della piazza, ma nessuno sembra notarla in questa domenica di agosto. Una decina di metri più avanti inizia la prima scalinata per avvicinarsi alla cattedrale. Proprio alla base degli scalini vanno avanti e indietro due soldati con il mitra in mano. Chiacchierano fra di loro, ma non guardano verso la valigia. Nessuno la nota. Una famigliola di turisti – padre, madre e figlioletto sul passeggino si ferma proprio dietro quella valigia per farsi un selfie con le guglie alle spalle. Sarà loro? No, perché scattate le immagini puntano altrove per continuare la passeggiata. Altri turisti di ogni nazionalità le scorrono a fianco, ma quasi non la guardano. Per un po' attira i piccioni, poi capiscono che lì non c'è nulla da mangiare e scorrazzano altrove. Sono già passati dieci minuti, e la valigia è sempre lì. Dall'altro lato della piazza chiacchierano fra loro con tranquillità una decina di carabinieri che sembrano in assetto di guerra. Passano su un lato e sull'altro della piazza auto della polizia che procedono a passo d'uomo. Ma non vedono quella valigia al centro della piazza. Ecco, si avvicina alla valigia una bella ragazza che sembra sudamericana. Va vicino, ma non la tocca. Ferma due ragazzi per chiedere se le scattano una foto con il Duomo alle spalle. I due sembrano felici di farlo, e ne scattano parecchie, restituendole il telefonino un po' emozionati. Lei ringrazia, loro vorrebbero dire qualcosa di più, cogliere l'occasione. Ma perdono l'attimo giusto e si rassegnano. Lei guarda le foto scattate, fa una smorfia: non erano quelle che avrebbe voluto. E intanto sono quasi le 12 e 30, e la valigia lilla è lì sola da una buona mezzoretta. La ragazza sudamericana in cerca di selfie ferma altri due ragazzi e richiede il favore. Loro scattano, più frettolosamente. Sono a una decina di metri da quella valigia rosa, che resta lì senza incuriosire alcuno. Lei si mette in posa come una modella, un ginocchio lievemente piegato e le mani a tenersi i capelli come le dive del cinema di un tempo. Le riportano il telefonino, lei ringrazia. Questi tentano un approccio. Respinti. Ma anche queste foto non vanno bene. E sono le 12 e 45, la valigia è sempre lì abbandonata e indisturbata. La ragazza pignolissima sulle foto questa volta ferma due ragazze. E non sbaglia. Quelle si inginocchiano e inquadrano la diva con Duomo sullo sfondo. Perfette. E' la ragazza sudamericana- felice- che vuole continuare il rapporto questa volta. Vuole offrire da bere alle due fotografe per caso, e loro accettano: il sole è alto, fa caldo e la sente non manca. Nasce un'amicizia, si scambiano i numeri di telefono. E tornano al centro della piazza. E' l'una passata. La bella sudamericana si avvicina alla valigia lilla con passo deciso. Afferra il manico, la prende, se la trascina dietro: era sua. Sospiro di sollievo. Ma quel bagaglio luccicante per un'ora buona è sembrato figlio di nessuno. A Milano in piazza del Duomo ero andato proprio per vedere cosa era cambiato nella prima domenica meneghina dopo la terribile strage sulle Ramblas di Barcellona, a poche ore da quel sinistro messaggio dell'Isis sui canali Telegram per minacciare: “prossimo obiettivo, l'Italia”. E dirigendomi lì avevo perfino pensato che una buona notizia per i milanesi c'era: se un terrorista con il suo furgone punta su piazza del Duomo di Milano è costretto a fare tanti e tali slalom fra cantieri e lavori in corso da gettare la spugna e rinunciare all'attentato. Beppe Sala non li aveva sicuramente pensati per questo, ma quel percorso ad ostacoli che si trova fra via Durini, San Babila, corso Europa, via Larga e in gran parte del centro città vale assai più delle orrende barrierine di cemento armato frettolosamente messe ai due lati della Galleria Vittorio Emanuele su via Foscolo e via Pellico. Poche centinaia di metri fra piazza Fontana, via Beccaria e corso Vittorio, e una certezza: i turisti verranno a Milano da tutto il mondo, ma almeno in questo periodo devono esserci veri e propri charter a rotazione dai paesi arabi. Passeggiare nel centro di Milano non è così diverso che farsi due passi nel cuore di Teheran o Riyadh: una vera sfilata di hijab, chador, niqab e perfino qualche burqa, che ho visto indosso a tre donne che seguivano un uomo, tutti rigorosamente scalzi a camminare sull'asfalto caldo e sporco dell'agosto meneghino. Ci sono talmente tanti islamici, che c'è da augurarsi davvero siano tutti di buon carattere, e lo saranno di sicuro le donne non accompagnate che affollano i tavoli di Savini in Galleria, spendendo come pochi altri sono in grado di fare. In piazza Duomo, prima di scorgere quella valigia, era ben visibile la nuova attenzione alla sicurezza. L'ingresso è ben presidiato da mezzi militari e di polizia sul lato della libreria Mondadori e palazzo Reale, ed è protetto anche da muretti di cemento. Dalla parte opposta, sul lato che porta alla Galleria, altre due barriere di cemento ingentilite dai writers. A fianco ben più fragili transenne. E soprattutto nessun poliziotto o militare controlla. Qualche falla c'è, e la valigia lilla lo racconta. Ma i muretti di cemento tranquillizzano. Una famiglia milanese entra in piazza, la moglie sorride al marito: “Visto che hanno messo le barriere? Qui siamo tranquilli…”. Funziona, e pazienza se lì c'erano-ignorate- da anni. Continua a leggere su L'imbeccata di Franco Bechis

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