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La giustizia? Un problema che schiaccia l'Italia. La colpa è del Cav

Filippo Facci visto da Vasinca

L'ex premier non ha fatto le riforme, così il Tribunale di Milano lo ha messo fuorigioco. Ma lo strapotere delle toghe va arginato

Andrea Tempestini
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Stiracchiare ancora opinioni pro o contro Berlusconi, dopo vent'anni, è penoso e farsesco. Alla fine sappiamo questo: che in Italia ci sono un problema Giustizia e un problema Berlusconi, e che Berlusconi in vent'anni non è riuscito a riformare quella Giustizia che alla fine ha riformato lui. C'è riuscita dopo infiniti fallimenti, per farlo si è sfibrata e ridicolizzata quando era tra le poche istituzioni che godeva ancora di fiducia. L'ha fatto soprattutto con una sentenza in cui non crede nessuno: è una delle rare volte in cui giuristi e cittadini e giornalisti paiono concordare. Un processo indiziario è un processo indiziario: Berlusconi ha commesso i fatti ma - opinione - non ha commesso i reati, e trasformare un fatto in un reato corrisponde a uno strapotere. A Milano fanno realmente tutto ciò che vogliono: mantengono competenze territoriali che sarebbero palesemente altrui, mettono in corsia di sorpasso i processi che gli interessano, non ascoltano le parti lese, chiamano «prova» le deduzioni personali, condannano come avrebbero potuto assolvere: un processo indiziario è appunto questo. Berlusconi, dal canto suo, ha la colpa di aver perpetuato degli andazzi che sono imperdonabili per un premier e non solo per lui: forse avrebbe dovuto lasciare la politica uno o due anni fa, anticipando e prevenendo questa mannaia giudiziaria che pesa sulla nostra vita politica. Ma la colpa della magistratura, d'altro canto, è appunto quella di avere uno strapotere discrezionale che esiste solo in Italia, e che è scandaloso prima ancora di rappresentare un danno economico.  Forse dovremmo aggiungere che il terzo colpevole, en passant, siamo noi come Paese: non solo per il nostro carattere tifoso e bizantino, ma perché la santificazione o demonizzazione del Cavaliere è ancora un lavoro per troppi, una rendita strategica, l'incrostazione di un impiego che forse è più importante di ogni Piave politico. Ma, detto questo, rimane un fatto: che la magistratura e Berlusconi, intesi come problemi, esistono e non si può fingere il contrario. Berlusconi non corre questo rischio, anche se, come visto, vent'anni di politica di sinistra valgono meno dell'uzzolo di Giulia Torri, il giudice che lunedì ha letto il dispositivo della sentenza. Ma la Giustizia? Chi se ne occupa? Mettere in piedi un governo che esplicitamente lo faccia è stata l'accusa che per anni è stata mossa a Berlusconi: col dettaglio che ne aveva tutte le ragioni - non solo personali, cioè - ma senza tralasciare che alla fine non è riuscito a fare niente. In compenso l'atteggiamento opposto, soprattutto dal governo Monti in poi, consiste nella palese rimozione del problema in virtù di un'eterna «emergenza» che rimuove il problema della giustizia penale. A sinistra, soprattutto, nessuno parla più di divisione delle carriere o anche solo di intercettazioni, per dire: si teme che ogni nuova legge possa figurare come pro o contro Berlusconi. Si ammette, al limite, che la malagiustizia pregiudica il buon funzionamento dell'economia, maltratta i detenuti e chi è in attesa di giudizio, procura pesanti condanne della Corte Europea, scoraggia chi rinuncia a ricorrere ai tribunali per non perdersi in labirinti burocratici. E si rimuove che la malagiustizia è anche quella degli onnipotenti che fanno tutto quello che vogliono: non con Berlusconi, ma anche con Berlusconi. La questione esiste, come sanno migliaia di avvocati in tutt'Italia. La larga parte della classe politica, sinistra compresa, la giudica tuttavia una faccenda spinosissima ed eternamente differibile: non è mai il momento per affrontarla. Oggi, però, limitarsi a dire «le sentenze si rispettano» è diventata codardia. E limitarsi a chiedere «se a questo punto cadrà il governo», allo stesso modo, è diventato stucchevole. Se cadrà, sarà perché lo merita.    di Filippo Facci

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