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Il dibattito sui redditi in piazza. Sì: trasparenza sacrosanta

Libero lancia il confronto sulla misura contro l'evasione. Maglie contraria, Paragone favorevole: "Gli onesti non temono"

Giulio Bucchi
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La stretta sull'evasione fiscale potrebbe costringere il Governo a porre degli emendamenti simili all'iniziativa del 2005 di Vincenzo Visco. Nella nuova manovra, infatti, comparirebbero delle modifiche che obbligheranno la pubblicazione dei redditi degli italiani. A occuparsene sarebbero i Comuni, che, contando sulle soffiate di qualche concittadino potrebbero recuperare parte dell'imponibile evaso. Gli emendamenti dovrebbero alzare di molto il premio sul gettito recuperato dai sindaci all'evasione nel proprio territorio. Oggi l'incasso è del 50%, ma la percentuale potrebbe aumentare. Sulle pagine di Libero prosegue il dibattito su quest'ipotesi. Maria Giovanna Maglie è contraria: "La delazione non serve. Pagano solo i pesci piccoli". E' favorevole, al contrario Gianuigli Paragone: "La trasparenza è sacrosanta. Gli onesti non hanno paura". Voi cosa ne pensate? Votate il nostro sondaggio. Segue il commento di Gianluigi Paragone. Non mi interessa sapere se sia giusto o sbagliato (e comunque penso che sia anche giusto), limitiamoci al solo fatto che la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi ha innanzitutto un senso sociale e in secondo luogo ha una sua utilità. Perché ha senso sociale? Beh, mi sembra ovvio: se il mio vicino di casa abita in una villa con piscina e ha parcheggiata in garage una macchina di gran pregio,  è sacrosanto che debba pagare le tasse fino all'ultimo soldo e che non debba nascondere i suoi pezzi pregiati in società di comodo. Se non vi piace l'esempio del vicino di casa, prendete il gioielliere o il macellaio o chiunque abbia un tenore di vita (che non per forza deve essere da nababbo) incongruo rispetto al reddito. Osservazione critica: controllare che il mio vicino non evada è compito della Guardia di Finanza non del cittadino. Vero, è compito fondamentale della Finanza ma siccome il senso civico e il senso sociale di una comunità poggiano sulla lealtà delle varie parti, non è per nulla invasivo un controllo dal basso. Vivere da ricchi non è né un reato né è immorale: se però si è ricchi si contribuisce ai costi della collettività nei modi prescritti dalla legge. Lo Stato è ladro? Lo Stato prende troppo rispetto alla qualità dei servizi? Con le tasse si mantengono i privilegi, il centralismo, l'assistenzialismo e chi più ne ha più ne metta? Vero, ma cambiare questo andazzo era il compito principale di chi scese in campo (Berlusconi e Bossi) contro le sinistre e contro il vecchio. E se ancora oggi stiamo a parlare di troppe tasse, troppo Stato e troppi privilegi significa - lo dico a malincuore - che l'obiettivo per ora è mancato. Questo era il presupposto iniziale: riformare lo Stato significava rimettere in equilibrio la bilancia fiscale, nel senso che uno Stato più efficiente spreca di meno, quindi le tasse sono pagate in misura equa e l'evasore è un criminale. Torniamo così al punto di partenza: fare in modo che chi evade sia scoperto e che sia disapprovato socialmente. C'è chi obietta che la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi farebbe scattare un meccanismo di delazione mosso da invidia. Non nego che l'invidia sia una brutta bestia e che qualcuno potrebbe anche essere spinto da una punta di cattiveria, come a dire: è ricco e gliela faccio pagare. Ecco, qui scatta la differenza tra sinistra e destra (ammesso che abbia ancora un senso tale differenziazione, però lo schema ci torna buono per capirci). A sinistra, attorno alla ricchezza vi è ancora un alone di pregiudizio ideologico nel senso che il capitale sarebbe una delle cause velenose del divario tra classi sociali, perché chi è ricco sottometterà per sempre il povero, lo sfrutterà. A queste incrostazioni ideologiche s'aggiunge anche una lettura “di convenienza” del Vangelo sia nelle beatitudini sia laddove è scritto che è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago che un ricco nel Regno dei Cieli (come tesi contraria consiglio la lettura di “Denaro e Paradiso” scritto da Ettore Gotti Tedeschi con Rino Cammilleri). Insomma il ricco è figlio di buona donna. Tifando per la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi (per esempio sui giornali: evviva Libero che lo fa), io sarei dunque contro i ricchi? Certo che no, la ricchezza è un indice di capacità professionale (se raggiunta correttamente, ovvio), è virtuosa nei meccanismi della società, è un bene che va difeso con politiche che esaltino la proprietà privata. Insomma la ricchezza fa bene a chi la possiede ma ha pure una ricaduta positiva sulla socialità, attraverso anche le tasse. Ricapitolando: ognuno è libero di ostentare la propria ricchezza, di materializzarla come vuole (anche coi lussi), però deve pagare il suo giusto prezzo sociale. Deve pagare le tasse. Non può, per stare sul concreto, consumare l'estate spaparanzato sullo yacht o sul panfilo e poi far figurare l'imbarcazione nei bilanci delle società. Non può fare il figo coi macchinoni e poi nasconderle al fisco. In questi casi non sei ricco, sei un vigliacco! Oltre che furfante! Dunque, siccome le persone perbene si sono stufate di essere cornute (cioè tradite da una classe politica che aveva promesso una rivoluzione liberale seria) e mazziate (cioè massacrate da un fisco che siccome non è capace di prendere gli evasori s'accanisce su chi paga regolarmente il proprio conto), allora hanno tutto il diritto del mondo a controllare se l'erba del vicino è più verde perché se lo merita o perché evade. Dunque, caro direttore cari sindaci, sotto con la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi esattamente come si usava fare fino a poco tempo fa senza che la foglia di fico della privacy coprisse le vergogne dei furbi. Una cosa è certa: la trasparenza non fa paura agli onesti. di Gianluigi Paragone

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