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Madre di Sgarbi vittima della giustizia-lumaca

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Ventisei anni per una causa

Monica Rizzello
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Vittima della giustizia-lumaca, la madre di Sgarbi chiede il risarcimento. Ventisei anni per una causa, e stavolta vittima della giustizia lumaca è un personaggio noto: Rina Cavallini, 83 anni. Nel 1988 - spiega il legale Giampaolo Cicconi - il Tribunale di Ferrara emise a carico della donna e delle tre sorelle un decreto ingiuntivo di pagamento di 7.075.037 vecchie lire, a titolo di prestazioni professionali, a un geometra. La Cavallini e le sorelle proposero opposizione, sostenendo di non avergli conferito alcun incarico professionale, ma di aver stipulato con lui un contratto di appalto per lavori di manutenzione dell'immobile di loro proprietà a Ferrara, che ebbe tra l'altro un illustre inquilino, Ludovico Ariosto, autore dell'Orlando furioso. Le sorelle chiesero la restituzione di tutte le somme corrisposte al professionista eccedenti il corrispettivo forfettario di 20 milioni di lire pattuito. Nel 2005 il Tribunale di Ferrara condannò la mamma di Sgarbi e le sorelle a pagare 380,45 euro al geometra, che appellò la sentenza davanti alla Corte di Bologna. A quel punto la donna, rivendicando la lungaggine del processo, fece ricorso alla Corte d'Appello di Ancona, che a maggio 2007 ha condannato il ministero della Giustizia all'indennizzo a favore della Cavallini di oltre 12 mila euro. Somma integralmente pagata dal ministero nel novembre 2007, con assegno della Banca d'Italia intestato alla signora, rimasta l'unica in vita a sostenere la sua battaglia (le sorelle sono nel frattempo morte). «È possibile - si chiede il legale - che un processo dove la posta in gioco ammonta a poco più di 3.500 euro possa avere una durata di oltre 26 anni? Ed è proprio per questo - conclude - che la signora Rina Sgarbi, stanca di questa situazione, mi ha conferito l'incarico di proporre un altro giudizio contro il ministero della Giustizia per richiedere un secondo indennizzo derivante dalla lungaggine del processo di appello pendente davanti alla Corte di Bologna».

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