Al rimpianto di Pippo Baudo si vorrebbe far seguire quello del Centro sociale milanese appena sgomberato e chiamato Leoncavallo dal nome della strada in cui sorse una cinquantina d’anni fa, occupando abusivamente un’area privata con relativa struttura industriale. Una strada intestata al musicista Ruggero Leoncavallo noto anche per il dramma lirico dei Pagliacci, ricavato da un fatto di cronaca nera realmente accaduto in un borgo della Basilicata a fine Ottocento. Questo Centro sociale prodotto dalle scorie della contestazione settantottina e del terrrorismo, che ne derivò spesso negli anni di piombo, crebbe anche nel mito da martiri di due militanti -Fausto e Iaio- uccisi in circostanze misteriose il 18 marzo 1978. Un delitto rimasto impunito ma del quale quella comunità ricavò un clima di solidarietà non so ancora, francamente, quanto meritata per la natura tuttora misteriosa di quel delitto, in un ambiente degradato anche dalla droga.
Pur già noto anche a livello nazionale il mio primo contatto professionale, diciamo così, con quella comunità dichiaratamente alternativa nacque sfogliando nella primavera del 1989 la posta dei lettori del Giorno, di cui ero stato appena nominato direttore dall’Eni. Lettori tutti indignati, e invocanti aiuto, per le condizioni difficili in cui abitavano in via Leoncavallo e dintorni. Dove non si poteva neppure dormire perché di notte venivano imposti, a volume altissimo, concerti non proprio di musica classica. Di giorno le cose riuscivano ad andare anche peggio. I lettori che scrivevano si firmavano spesso con iniziali o nomi di fantasia, evidentemente per paura di ritorsioni. Alcuni però avevano anche il coraggio di firmarsi, per cui mi fu possibile rintracciarne qualcuno. E farmi accompagnare in qualche sopralluogo.
Ne ricavai la stessa impressione appena confessata da Vittorio Feltri scrivendone sul Giornale. Di «sfaccendati», piuttosto che di «creativi», come qualcuno li definiva già allora e continua ancora a considerarli richiamandosi anche al buon Vittorio Sgarbi. Che da assessore alla cultura di Letizia Moratti a Milano, parlando dei murales dei leoncavallini, li promosse generosamente ad opere d’arte, sproloquiando - scusami, Vittorio- persino di Cappella Sistina.
Quando cominciai ad occuparmene scrivendo, e parlandone anche con l’amico Paolo Pillitteri nel suo ufficio di sindaco a Palazzo Marino, mi resi subito conto che i leoncavallini non fossero solo degli sfaccendati. E a un certo punto delle polemiche provocate dalla mia attenzione diedi loro dei Pagliacci nel titolo di un editoriale. Dopo qualche giorno cominciarono ad arrivare a casa telefonate minatorie, su una linea peraltro riservata, la più laconica era l’annuncio che «il garofano sarà reciso».
Una notte nell’androne del palazzo dove abitavo fu infilata e accesa della benzina. Una richiesta della polizia di mettere sotto controllo il mio telefono per risalire alla provenienza delle minacce fu respinta dalla magistratura, che forse - pensai, lo confesso - non aveva condiviso quel titolo e mi voleva dare anch’essa una lezione lasciandomi indifeso. Provvidero le autorità competenti, diciamo così, assegnandomi una scorta. Confidenza per confidenza, alla fine di quell’anno - nel quale peraltro il povero Pillitteri aveva anche cercato di sgomberare il Centro antagonistico prodigandosi per l’assistenza della forza pubblica, pur fra dubbi e riserve del prefetto che temeva complicazioni sociali - pensai anche ai leoncavallini quando trovai nell’ascensore che portava al piano del Giorno, nel palazzo della stampa di Piazza Cavour, due fogli di carta affissi su una parete della cabina.
Uno era la fotocopia di un’immagine del dittatore rumeno Ceausescu giustiziato, sull’altro si chiedeva quando sarebbe arrivato “il turno” del sottoscritto, immondo anche perché “craxiano”. Carini. Neppure su quell’episodio si ritenne opportuna una qualche indagine. Seguì solo un rafforzamento della scorta. Con questi precedenti, che riviviamo qui in qualche modo per la nostra linea politica, pensate che io possa ora partecipare al rimpianto del Centro sociale Leoncavallo finalmente sgomberato dal governo? Figuratevi.