Alessandro Di Battista: vuoi vedere che alla fine il più coerente è lui?
L'ex deputato detta la linea dei duri e puri: se si va con Renzi da' l'addio al Movimento. Forse.
Non è che – a dirla tutta- ci voglia il coraggio di Che Guevara o l’ostinato orgoglio di Martin Luther King per criticare il sistema, quando dal sistema sei fuori.
Eppure, stavolta, brilla una certa, ammirata coerenza nell’annuncio di dimissioni che l’ex deputato 5 Stelle Alessandro Di Battista ha consegnato a Facebook come reazione alla caduta del veto del Movimento nei confronti del solito Renzi. Il governo bascula sull’orlo dell’abisso? Il reggente pentacostale del grillismo, Crimi, riaccoglie il figliol prodigo di Italia Viva purché con “un patto di legislatura chiaro” (formula generica per eludere la ciclopica figura di palta)? Bene. Ecco che Dibba si staglia tra i duri e puri del Movimento. E, avendo dichiarato il 12 gennaio scorso, che “io credo che se i renziani dovessero aprire una crisi di governo reale in piena pandemia, nessun esponente del Movimento dovrebbe mai più sedersi a un tavolo, scambiare una parola, o prendere un caffè con questi meschini politicanti”; be’, oggi mantiene la parola. E minaccia lo strappo, duro, romantico, in nome di ideali primigeni e non negoziabili. “L’ho sempre pensato e lo penso anche adesso. Se il Movimento dovesse tornare alla linea precedente io ci sono. Altrimenti arrivederci e grazie” scrive Dibba, e continua “se non condivido una cosa io mi faccio da parte e mi vivo la mia vita, di certo non faccio scissioni o mi metto a creare correnti... Non è da me”. Non è da lui, in effetti. Dibba era quello che, meritoriamente, si era scisso da solo, volontariamente, dal partito. Attraversato da una vaporosa ideologia; preso davvero dall’ansia paterna di far crescere il figlioletto -che sarebbe nato da lì a poco- nel migliore dei mondi possibili; affascinato dall’idea di poter vivere di torpidi documentari intorno al mondo, Alessandro Di Battista è stato comunque l’unico parlamentare sulla cresta dell’onda a rifiutare la nuova candidatura. Certo, non gli era andato giù il governo con la Lega, ma l’aveva sempre detto. Non sopportava la linea dei suoi al governo su Ilva, Alitalia, la Tav; e se n’è sempre discostato pubblicamente. E’ stato contrario a qualsiasi straccio d’ipotesi di “governo Ursula”; anche perché, per lui, Berlusconi non è mai stato uno statista ma “quello che ha finanziato Cosa Nostra”. Ma aveva sempre sostenuto anche questo.
Filippo Ceccarelli su Repubblica afferma che Dibba “vive l’impegno politico come autorappresentazione”, e forse è vero. Dibba gira ancora gioioso e scalzo nell’entusiasmo di popolo, nella grande chiesa che va, appunto “da Che Guevara a madre Teresa”. Ma la sua saldezza negli ideali oramai sgualciti del Movimento lo rende parte di un’idea platonica della politica. Un’idea che, da un lato, affascina inevitabilmente i sognatori (ancora tanti) della base pentastellata; e, dall’altro, gli fa indossare -non so quanto inconsapevole- l’armatura del templare scelto da Casaleggio Jr per la guerra contro il M5S di governo oramai trasformato in un centro di potere. Se Renzi è il diavolo corruttore, Dibba è Giovanni il Battista pronto all’estremo sacrificio. Naturalmente questa sua presunta capacità di scuotere le masse è tutta da dimostrare. Quando il capo politico Di Maio accennò a rimetterlo in campo con tutto il suo apparato retorico movimentista, ebbe una mazzuolata epica alle Regionali. E c’è da aggiungere che il ragazzo, essendo l’unico non parlamentare a protestare lancia in resta, alla fine, probabilmente si ritroverà, girandosi all’improvviso, senza l’esercito di deputati e senatori grillini oggi ululanti contro il renzismo di ritorno; ma in fondo saldamente ancorati alla propria poltrona (pochissimi, in caso di voto anticipato sarebbero riconfermati). Ciononostante, Dibba, è l’unico pentastellato la cui coerenza superi quella di Grillo stesso; e, oggi, merita rispetto. Sempre che segua davvero l’ “addio”, e non “ok ragazzi, abbiamo scherzato…”.