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Non è l'Arena, il clamoroso sfogo di Massimo Giletti: "Noi giornalisti da marciapiede?", fucilata contro Roberto Speranza

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Massimo Giletti apre la puntata del 7 marzo di Non è l'Arena con il consueto sfogo. Questa volta il conduttore di La7 se la prende con i detrattori della sua trasmissione. "Zitti e buoni è la canzone (dei Maneskin, ndr)che ha vinto Sanremo, un titolo che potrebbe piacere agli uomini di potere infastiditi dalle domande dei giornalisti che non demordono e che non rinunciano ad avere risposte". Giletti si dice fiero del suo lavoro: "Veniamo chiamati in modo denigratorio giornalisti da marciapiede, me ne vanto e ringrazio i miei ragazzi che stanno in strada ore e ore con qualsiasi tipo di vento e di freddo per avere una risposta". In studio - è l'accusa del conduttore - alcuni non vengono. Uno a caso? Roberto Speranza "che si dice sempre impegnato". Oppure Domenico Arcuri a cui Giletti lancia un avvertimento: "Noi non ci smuoviamo, non andiamo via, perché una società che non fa più domande è destinata al declino".

 

 

E a chi, da casa, pensa che le inchieste servano a ben poco, Giletti ricorda: "Oggi Arcuri non è più commissario all'emergenza coronavirus. Sicuramente per Mario Draghi, ma anche per le inchieste che io ed altri colleghi abbiamo portato avanti". Da qui l'elogio a Papa Francesco che dalla terra di Baghdad ha invitato i fedeli a "continuare a coltivare i vostri sogni, le vostre speranze". Io - conclude il giornalista - continuo a coltivare i miei sogni, perché la libertà più straordinaria è quella che abbiamo qui all'interno del nostro cervello, della nostra anima. Qui nessuno può entrare. E quando l'uomo sogna si avvicina a Dio".

 

 

Non è la prima volta che Giletti si scaglia contro i fuggitivi. Lo stesso Arcuri aveva mandato su tutte le furie il conduttore: "Vedo che sceglie di andare da Barbara D’Urso - era l'accusa -, con giustizia e bellezza anche della conduttrice. È importante andare in tutti i programmi, però si sfugge ai programmi dove c’è la voglia di avere risposte serie. È questo il vero problema. Oggi in Italia chi ha il dovere pubblico di parlare, perché lo ricordiamo è pagato con soldi pubblici, dovrebbe rispondere sempre".

 

 

 

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