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Sigfrido Ranucci smentito dai giudici: "Così preparava i dossier". Report, ecco le carte in tribunale

 Sigfrido Ranucci

Gianluca Veneziani
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E meno male che non era solito utilizzare dossier per screditare i politici. E meno male che non aveva l'abitudine di servirsi di segnalazioni anonime per costruire dossier. E menomale che il video pubblicato dal Riformista era manipolato. Basta leggere la sentenza del Tribunale di Verona, risalente al 30 settembre 2019 e relativa a Flavio Tosi, allora sindaco di Verona, e Sergio Borsato, il leghista presente al pranzo con Ranucci che si era incaricato di fornire al primo cittadino scaligero informazioni sul servizio giornalistico a suo carico, per comprendere come la difesa del conduttore di Report sui propri metodi di inchiesta faccia acqua da tutte le parti. Dopo che sono stati tirati fuori gli sms di Ranucci destinati al deputato della Commissione di Vigilanza Rai Andrea Ruggieri, al quale dichiarava di ricevere dossier «su tutti i politici, tra uso di cocaina e scene da basso impero su yacht», il giornalista ha ribadito di non avere «mai usato l'arma dei dossier», di riceverne «tanti anonimi» aggiungendo però che «noi non li usiamo. Noi li abbiamo sempre cestinati».

 

FONTI RISERVATE
La verità però è un po' diversa. Dalle succitate carte si dimostra infatti che Ranucci i dossier li usava eccome, costruendoli a partire da segnalazioni anonime. In modo legittimo, a detta dei giudici. Ma quanto meno, aggiungiamo noi, deontologicamente discutibile. In un passaggio della sentenza il giudice, valutando non diffamatoria una dichiarazione di Tosi in cui lui bollava il lavoro di Ranucci come «una buffonata», la definiva una «critica, seppur sferzante, con pertinente riferimento al dossier che questi aveva confezionato sull'amministrazione Tosi». Quindi è del tutto corretto sostenere che Ranucci avesse imbastito un dossier. Peraltro «vacuo», come lo definisce l'avvocato Antonio Mezzomo (che ai tempi aveva difeso Borsato nella causa per calunnia), «dato che, se ci fosse stato qualche fondamento alle accuse mosse da Report su presunti rapporti con la 'ndrangheta, il Comune di Verona sarebbe stato commissariato. Cosa mai avvenuta». Un dossier comunque dotato di un evidente scopo politico: mettere in cattiva luce un esponente di punta della Lega.

A rendere plausibile questa ricostruzione è ancora il giudice, esprimendosi su altre frasi di Tosi, pronunciate nelle interviste ad alcuni giornali, secondo cui «Ranucci sta costruendo una puntata di Report per distruggere politicamente e personalmente un avversario politico, attraverso una trasmissione della tv di Stato». Queste affermazioni vengono giudicate nella sentenza «assolutamente continenti, pertinenti al tema in discussione, proporzionate e funzionali alla finalità di disapprovazione nei confronti dell'operato professionale del giornalista Rai». Altra questione decisiva è: come Ranucci aveva costruito questo dossier? Anche qui traballa la sua difesa per cui il materiale arrivato da fonti non accreditate verrebbe «sempre cestinato». Lo spiega il giudice, sulla base di quello che il giornalista aveva dichiarato in sede sia di indagine che di dibattimento. «Nel corso del 2013», si legge nella sentenza, «il Ranucci decideva di dedicare parte di una puntata all'allora sindaco di Verona, in quanto più fonti anonime o riservate avevano segnalato alcune "anomalie" sulla sua amministrazione, con particolare riferimento ad infiltrazioni della criminalità organizzata calabrese nella gestione degli appalti del Comune». Tutta l'inchiesta poi andata in onda, checché ne dica Ranucci, era mossa dunque proprio da queste imbeccate anonime.

 

DISORIENTANTE
Ma il conduttore di Report prende un granchio anche quando si ostina a sostenere che il video registrato da Borsato e ora pubblicato dal Riformista sia «manipolato». Questa versione non emerge affatto nella sentenza in questione, che al contrario sospende il giudizio, definendola una «circostanza riferita da Ranucci» che «non è stata oggetto di approfondimento istruttorio nel presente procedimento» e, quand'anche vera, «non prova la mala fede del Borsato».

Né il conduttore di Report e i suoi legali, durante il dibattimento, hanno insistito, come ricorda Mezzomo, «affinché il tribunale ammettesse una perizia a riprova dell'avvenuta manipolazione del video, evidentemente non avendo elementi sufficienti a sostenere la bontà della propria tesi». Va detto inoltre che il giudice, pur reputando l'atteggiamento manifestato da Ranucci nel video coerente con l'esercizio delle proprie funzioni, esprime valutazioni non certo elogiative del suo modus operandi. Parla infatti di «tenore fraintendibile» delle sue dichiarazioni, di «contegno disorientante» e di una tattica nel «riportare notizie acquisite di poco conto, millantando amicizie importanti e la possibilità di ricorrere a fondi neri Rai». Per carità, sarà anche tutto legale, ma non pare un metodo esattamente solare.

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