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Vladimir Putin, Savik Shuster: "Da chi verrà deposto"

Gianluca Veneziani
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Oltre a cultura e competenza geopolitica, Savik Shuster, giornalista e conduttore tv, ha la fortuna di avere cinque identità: nato in Lituania, ha vissuto a lungo in Canada e Italia, acquisendo la cittadinanza di entrambi i Paesi, per poi lavorare in Russia e infine in Ucraina.  Grazie a questa vita da giramondo, dispone degli strumenti per poter guardare da diversi punti di vista gli sviluppi del conflitto in Ucraina.

 


Shuster, le cronache dal fronte ci raccontano che gli ucraini avanzano e la Russia perde terreno. Mosca sta andando incontro a una disfatta militare?
«Quella ucraina è sicuramente un'avanzata di successo nella regione di Kharkiv, che è stata liberata. Peraltro in quella zona era concentrata l'armata corazzata dell'esercito russo, di cui fanno parte le divisioni di élite che marciano nelle parate in Piazza Rossa. Il fatto che esse siano scappate e abbiano lasciato i loro carri armati in Ucraina la dice lunga».

 



Cosa ha consentito questa controffensiva?
«Quattro fattori: l'imprevedibilità dell'attacco; il fallimento dell'intelligence militare russa; lo spirito dell'esercito di Kiev; le armi importanti arrivate dall'Occidente: se quello ucraino è un esercito tecnologico, quello di Mosca è fermo alla II guerra mondiale. Inoltre, all'inizio della guerra c'era una disparità di forze favorevole alla Russia, perché l'Ucraina non era pronta. Poi, con la mobilitazione generale, l'esercito di Kiev è cresciuto parecchio: oggi si parla di 700mila ucraini arruolati, forse di più. La Russia invece manca di uomini: sul campo ne ha al massimo 200mila. Sono mal preparati, mal armati, non hanno lo spirito di combattere perché non credono fino in fondo nella causa cosicché la quantità di diserzioni è enorme. Quello russo non è forse neanche il decimo esercito più forte al mondo. In più, è un'insalata russa, una compagine molto disomogenea. Da ultimo, la Russia non è in grado di fare una mobilitazione generale».

 



Come mai?
«Se si dichiarasse, bisognerebbe addestrare l'esercito, armarlo. Ciò richiederebbe un grande sforzo, che la Russia non è in grado di sostenere.
Inoltre la mobilitazione non attecchirebbe in grandi città come Mosca o San Pietroburgo, dove i giovani sono poco disposti ad andare al fronte. Per ora, vengono arruolate persone nei piccoli villaggi, che magari hanno fallito nella vita e vedono nell'esercito la possibilità di guadagnare qualcosa. Né Putin può trasformare la propria economia in un'economia di guerra: come fa Mosca, sotto sanzioni e senza nessuna dotazione tecnologica, a produrre armi moderne? Detto questo, pare che la Russia stia preparando dei reparti speciali a Vladivostok, che prima o poi saranno al fronte. Ma quando saranno mandati a combattere, sarà ormai troppo tardi».

Quale potrebbe essere l'esito della controffensiva?
«Il suo successo dipenderà dall'unità dell'Occidente: se continuiamo a inviare armi e sanzionare la Russia, potrà liberare buona parte del territorio e forse la Crimea, tornando alle frontiere del 1991. Stando così le cose, l'Ucraina può vincere all'80%. E la vittoria potrebbe arrivare non solo sul campo, ma anche con un cambiamento politico in Russia».

Quali potrebbero essere le ricadute politiche a Mosca?
«Le élite intorno a Putin iniziano a fare paragoni col primo conflitto mondiale: anche allora l'ingresso in guerra venne vissuto con grande entusiasmo, poi con le sconfitte al fronte tutti divennero stanchi dello zar e del quartier generale. Fino a che non si arrivò alla resa e al crollo del regime. La storia della Russia ci ricorda che al comandante supremo si può perdonare tutto ma non una sconfitta in guerra. Ma se la Russia dovesse perdere, non dobbiamo aspettarci una transizione democratica. Si dice che il capo degli 007 russi, Nikolaj Patrusev, stia cercando contatti con gli americani, per comunicare che l'entourage attorno allo Zar è pronto a destituirlo. Penso che, se la guerra continua così, Putin possa essere costretto ad abbandonare l'incarico di presidente e a lasciarlo a un organismo collettivo, preparandosi a essere processato. È possibile che si insedi un gruppo di autocrati. Chiunque andrà al potere non sarà molto meglio di lui».

La controffensiva ucraina potrebbe generare anche una reazione furente russa?
«Sì. Se Putin non decade, potrebbe optare per la distruzione di massa e colpire tutte le infrastrutture ucraine. Né escluderei che alla fine la Russia ricorra ad armi nucleari tattiche. A Mosca non si fanno certo problemi di costi umani della guerra. Quando ero corrispondente de La Voce di Montanelli, Indro mi disse: "Tutti i problemi a livello storico la Russia li ha sempre risolti con una montagna di cadaveri".
Non è cambiato nulla».

È possibile che la Russia colpisca le basi in Polonia da cui partono i rifornimenti militari per gli ucraini, causando la reazione Nato?
«In teoria sì, in pratica no. Putin si è reso conto di quanto il suo esercito sia poca cosa. Per questo non penso che i russi andranno mai a bombardare i Paesi baltici o la Polonia: sarebbe un passo suicida. Se le truppe Nato entrano in Russia, in tre giorni sono già a Mosca».

Intanto la Cina ha gelato Putin manifestando le sue «preoccupazioni per il conflitto» e l'India lo ha scaricato dicendo che «questo non è tempo di guerra». Putin è un uomo solo al comando di una nazione sola?
«Credo di sì, Xi non considera quasi più Putin e l'India bada ai propri interessi strategici. La Cina sa che in ogni caso sarebbe lei la vincitrice. Se la Russia vince, Pechino resta il suo più grande partner, in una posizione di superiorità. Se la Russia perde, la Cina acquisirà un enorme peso strategico in Asia centrale: in quel caso ci dobbiamo aspettare una Cina che arriva fino alle porte d'Europa».

 

 

 

Combattenti del battaglione Azov: davvero Zelensky li ha scaricati, come sostiene qualche commentatore?
«In Ucraina si dice che sono stati costretti ad arrendersi dall'amministrazione Zelensky. E che i russi gli hanno fatto un ultimatum al quale non ha potuto dire di no, forse la minaccia di diffondere un dossier sudi lui e sul suo entourage. Il modo in cui Zelensky ha gestito la vicenda è vergognoso». 

 

 

 

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